Giacomo Damonte, 36 anni, enologo nell’azienda di famiglia Malvirà di Canale, dal dicembre 2021 è presidente della zona di Alba della Cia. Un’area particolare dove a farla da padrone è certamente la produzione vitivinicola, ma ci sono comunque un buon numero di attività legate ad altri settori agricoli. Con lui tracciamo un bilancio della stagione 2022. Dice: “In generale è stata un’annata molto complessa e non positiva, con gli aumenti dell’energia e delle materie prime e la presenza della siccità che ha creato parecchi problemi. Inoltre, i mercati non hanno risposto bene come in passato. Il comparto vitivinicolo ne ha risentito di meno, con un’ottima qualità dell’uva sia in Langa che nel Roero. In Langa, poi, anche la quantità prodotta si è mantenuta su buoni livelli, mentre nel Roero, con terreni più sabbiosi che trattengono di meno l’acqua, c’è stato un calo del 30-40%. I vini, però, nonostante nel dopo vendemmia temevo potessero avere uno squilibrio strutturale, al contrario saranno eccellenti”.
Gli altri settori? “Il percorso è stato per tutti molto difficile. Solo chi è riuscito a riorganizzare la disponibilità idrica e la dinamica aziendale ha “salvato” la stagione”.
Le prospettive per il 2023? “Ci auguriamo che i problemi di quest’anno siano stati straordinari, perché se dovessero diventare la normalità saremmo costretti a ripensare l’impostazione del lavoro”.
Essere giovani imprenditori agricoli
Damonte ha scelto di lavorare nell’azienda di famiglia. Cosa significa essere oggi un giovane imprenditore agricolo? Sottolinea: “In Langa e nel Roero molte realtà sono a conduzione famigliare. Per cui, è importante il confronto con la generazione che ti ha preceduto. Partendo da punti di vista diversi, spesso si arriva a soluzioni condivise. Poi, in questo periodo storico, al di là delle problematiche anomale di quest’anno, se hai idee e un prodotto di buon livello, sfruttando la parte digitale e la comunicazione, si aprono tantissime opportunità di presentarti ai mercati e ai consumatori. Magari inventando percorsi nuovi, perché i gusti delle persone cambiano”.
Quindi, c’è un domani per i giovani in agricoltura? “Certamente. Infatti, soprattutto dopo il lockdown dovuto all’emergenza Covid, e parlo soprattutto per il settore vitivinicolo, c’è stato di nuovo un grande interesse delle persone a visitare le aziende e le cantine. Prima della pandemia avevamo più ospiti stranieri, adesso sono tornati quelli italiani. E questo è un segnale positivo. In ogni caso, quando emerge la vivacità della richiesta vuol dire che i mercati si muovono, consumano e ti offrono spazi di manovra. Anche se, forse, devi rivedere alcuni aspetti dell’impostazione aziendale, adeguandoli alle nuove esigenze”.
Cosa deve fare un giovane imprenditore agricolo per garantire un futuro alla propria azienda? “Non spaventarsi delle difficoltà che all’inizio potrebbero sembrare insormontabili. E poi avere la consapevolezza di dover dedicare tanto tempo e in modo flessibile al proprio lavoro. Perché, come diceva mio nonno, gli animali vanno accuditi e bisogna dar loro il cibo anche il giorno di Natale”.
Invece, cosa serve dalle istituzioni? “Sarebbe necessario avere meno burocrazia da dover gestire. Se ne parla da anni, ma continua a essere un problema soffocante per le aziende. Poter destinare meno tempo alle carte e agli uffici consentirebbe di curare meglio la propria attività. E poi bisognerebbe diminuire il costo del lavoro, ormai pesantissimo. Infatti il rischio, a queste condizioni, è che le aziende debbano sostituire le persone utilizzando le ormai molto evolute macchine digitali. E a volte, anche per le operazioni non meccanizzabili, rinunciano comunque ad aumentare il personale proprio a causa dell’elevata tassazione sul lavoro”.