È un fiume di fiaccole quello che sfila da piazza Galimberti a piazza Virginio, migliaia di cuneesi radunatisi in una vigilia del 25 aprile più simbolica di altre. Non solo per l’attesa visita in città del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, o per l’imminente anniversario degli ottant’anni dal discorso di Duccio Galimberti. Ad animare la piazza è l’appello alla mobilitazione: “Siamo di nuovo qui a proclamare e celebrare l’antifascismo, grazie alla nostra costituzione che è antifascista in ogni parola” è il saluto di Gigi Garelli, direttore dell'Istituto Storico della Resistenza.
Una “frecciata” alle recenti dichiarazioni del presidente del Senato Ignazio La Russa (“nella Costituzione non c'è alcun riferimento all'antifascismo”) cui ne seguiranno altre molto più esplicite. Sul palco di piazza Galimberti sale la sindaca di Cuneo Patrizia Manassero, la più “istituzionale” nei toni: cita Tina Anselmi che descrisse la resistenza delle donne come “una battaglia per la pace”, menziona l’epigrafe dove Piero Calamandrei ricorda “coloro che agirono ‘per dignità e non per odio’”. All’attualità si ricollega invece il presidente provinciale dell’Anpi Paolo Allemano: “Viviamo una sorta di schizofrenia, non possiamo ignorare che la seconda carica dello Stato non riesce a dire che avendo giurato sulla Costituzione ha fatto una professione di antifascismo”. “Non ho paura di chi fa politica e di chi milita in Fratelli d’Italia - aggiunge l’ex sindaco di Saluzzo - ma di chi non prende le distanze dal fascismo, chi non si riconosce più nel patto costituente. Il rischio è di portarci in una cultura post-costituzionale, un’autocrazia dove saltano tutte le mediazioni, anche i partiti”. “Non è un 25 aprile come gli altri perché è un 25 aprile ferito da parte di alte figure istituzionali. Una forma di faziosa ignoranza non perde occasione per denigrare la resistenza: non sono gaffes, come spesso vengono considerate” attacca Marco Revelli, presente a nome della fondazione intitolata al padre Nuto.
Dopo gli interventi di Claudia Bergia per l’associazione Ignazio Vian e di Gianni Marchiò in rappresentanza degli ex deportati Aned, a tenere l’orazione ufficiale è il direttore de La Stampa Massimo Giannini. Un discorso di quarantacinque minuti che si apre con la citazione delle parole pronunciate da Duccio Galimberti il 26 luglio 1943 (“la guerra continua, ma fino alla cacciata dell'ultimo tedesco”) e si chiude con l’“ode a Kesselring” di Calamandrei. In mezzo una serie di attacchi senza mezzi termini a La Russa e al suo partito, a Giorgia Meloni definita “sorella d’Italia”: “È in atto una costante fuga dalla storia e dalla memoria, ma questo non riguarda soltanto la seconda carica dello Stato ma tutto il suo partito. Questa è esattamente la subcultura con la quale si sono presentati alle elezioni del 25 settembre”.
Giannini ricorda i “centomila morti della resistenza di tutti i partiti e di tutte le fedi” e dice: “È questa la cosa che più mi addolora, quando sento parlare di questa festa come la festa di una parte. Oggi più che mai la festa della liberazione è anche la festa della Costituzione”. Già altri governi di destra, continua, proposero di trasformare la festa del 25 aprile in una festa della liberazione “da tutte le dittature”: “Si vuole dimostrare che fascismo e comunismo sono la stessa cosa ed è vero, sono due terrificanti totalitarismi del Novecento. Ma attraverso questa equiparazione si vuole passare a quella tra fascismo e antifascismo. Si va a Theresienstadt e a Praga ma non a Marzabotto e a Sant’Anna di Stazzema”.
“A questo gioco - conclude - non vogliamo giocare: il 25 aprile è la festa della liberazione dalla dittatura del fascismo e ricordarlo è riconoscere che quei valori sono oggi patrimonio comune e condiviso dell'intera nazione. Non abbiamo paura del ritorno della dittatura fascista, questo Paese ha gli anticorpi per resistere: quello che temo è un’Italia nella quale, come ha detto Allemano, si scivoli per inerzia verso una cultura post-costituzionale. La direzione del governo è evidente: non si va verso la dittatura ma verso la cultura dell’intolleranza e la xenofobia”.