Sono passati 37 anni. Era il 3 settembre 1982 quando Cosa Nostra uccise con trenta colpi di kalashnikov il Generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, in via Carini a Palermo. Pochi mesi prima il governo presieduto dal repubblicano Giovanni Spadolini lo aveva nominato prefetto del capoluogo siciliano con l'intento di ottenere contro la mafia gli stessi brillanti risultati ottenuti nella lotta al terrorismo. “Mi mandano a Palermo con gli stessi poteri del prefetto di Forlì”, aveva polemicamente tuonato Dalla Chiesa – nato a Saluzzo il 27 settembre 1920 - in un’intervista rilasciata a un altro cuneese illustre, il giornalista e scrittore Giorgio Bocca. Lo uccisero poco dopo le nove di sera, mentre a bordo di una A112 bianca rientrava a casa insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro. Con loro gli esecutori colpirono e uccisero anche l’agente di scorta Domenico Russo, a bordo di una seconda auto.
Fin dalla nomina lottò perché gli venissero concessi i poteri che richiedeva per lottare contro Cosa Nostra, ma non fece in tempo. Ad avere l’autorità chiesta dal Generale sarà solo il suo successore. “Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici. Questa volta non è Sagunto, ma Palermo. Povera la nostra Palermo” disse durante l’omelia del funerale il cardinale Salvatore Pappalardo, parafrasando Tito Livio. Fu il primo alto ministro della chiesa a riconoscere l’esistenza della criminalità organizzata.
Per l’omicidio Dalla Chiesa furono condannati i vertici dell’epoca di Cosa Nostra, individuati come i mandanti. I nomi non hanno, loro malgrado, bisogno di presentazioni: Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Nenè Geraci e Bernardo Brusca. Solo vent’anni dopo, nel 2002, vennero condannati gli autori materiali dell’attentato - Nino Madonia, Vincenzo Galatolo, Raffaele Ganci e Giuseppe Lucchese – oltre ai collaboratori di giustizia Calogero Ganci e Francesco Paolo Anzelmo.
“Certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli” diceva.
Queste poche righe, nel loro piccolo, nascono per dare un contributo a ricordare un figura a cui la Granda ha dato i natali e della quale è bene conservare la memoria.