In occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato in programma domenica 27 settembre la Caritas di Saluzzo, nella figura del Direttore Don Giuseppe Dalmasso, ha voluto esprimere una riflessione in merito all’importanza di questo appuntamento internazionale. Riceviamo e pubblichiamo le sue dichiarazioni.
“Per celebrare in modo non retorico la giornata del migrante, vorrei mettere al centro di questa breve riflessione la questione fondamentale del tema dell’accoglienza, che consiste nella semplice ma radicale domanda: perché dobbiamo aprirci a questa forma di carità? In primo luogo, questo è per tutti un dovere civile. Infatti, come potrebbe la società reggersi senza il fondamento della solidarietà? È per questo che già nell’antichità lo straniero che bussava alla porta era considerato sacro e negargli ospitalità era una colpa gravissima, immancabilmente punita dagli dèi. Questa pratica ha un fondamento naturale, perché è solo la collaborazione con gli altri che rende più vantaggiosa la vita sociale rispetto a quella degli individui isolati e la collaborazione consiste nel sostegno reciproco per fronteggiare meglio le avversità dell’esistenza. Ma chi stabilisce fino a che punto deve spingersi questa collaborazione, se deve limitarsi a scambi equivalenti o se deve esprimersi anche nella gratuità dell'aiuto? A questo interrogativo può rispondere solo il nostro senso morale, più o meno sviluppato in ciascuno di noi, a seconda di quanto siamo capaci di agire andando oltre i nostri interessi personali immediati. Oggi che siamo diventati tutti molto sensibili alla cura dell’ambiente e che siamo disposti ad affrontare dei sacrifici per la tutela di specie vegetali e animali in pericolo, non dovremmo preoccuparci almeno con la stessa attenzione dei milioni e milioni di esseri umani la cui vita è in pericolo a causa dell’estrema povertà? A quanti pensano che il destino di quelle persone non li riguardi e che ci si debba occupare solo della povertà del vicino, ricordo che la nostra umanità si realizza pienamente solo quando riusciamo ad andare oltre i limiti dello spazio in cui siamo nati e a sentirci parte del sistema-mondo, impegnandoci a renderlo migliore per tutti quelli che ci vivono, a prescindere dalla lontananza geografica e dal colore della pelle. So bene che il problema delle migrazioni è delicato e complicato e non siamo certo noi che potremo risolverlo, ma se almeno cominciassimo tutti a fare pressione sui nostri rappresentanti istituzionali perché venisse messo in discussione ai più alti livelli decisionali, forse si potrebbero gettare le basi per la sua soluzione. Per noi cristiani, però, il richiamo all’accoglienza scaturisce ben chiaro anche dalla nostra fede, come ci ammoniscono innumerevoli passi delle Scritture, di cui cito solo i più noti e lapidari: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”, “Amate lo straniero, perché anche voi siete stati stranieri in terra d’Egitto”, “Accoglietevi gli uni gli altri come anche Cristo ha accolto voi, per la gloria di Dio”, “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli”. Di fronte a queste perentorie esortazioni, come possiamo noi credenti sperare di essere accolti per l’eternità nella casa del Padre, nella nostra indegnità di peccatori, se rifiutiamo l’accoglienza ai più bisognosi dei nostri fratelli, che cercano da noi una speranza di vita che nel loro paese non hanno?”.
Don Giuseppe Dalmasso
Direttore della Caritas Diocesana di Saluzzo e Vicario del Vescovo