BORGO SAN DALMAZZO - Biodigestore, gli agricoltori della zona: "Siamo preoccupati, per anni i nostri campi bruciati dal gas"

Parla un gruppo di imprenditori agricoli borgarini che lavora a poche centinaia di metri dal sito di San Nicolao: "Alle promesse non crediamo più, temiamo di rivivere i problemi avuti con la discarica"

Andrea Dalmasso 21/03/2023 09:13

Borgo San Dalmazzo ha dato per quarant’anni, e a maggior ragione ha dato la nostra zona. Siamo preoccupati perchè ci sono sempre state fatte tante promesse, che poi non sono mai state mantenute. Con questo biodigestore temiamo di dover ricominciare da capo”. È un coro unanime quello degli agricoltori della zona di via Candela, a Borgo San Dalmazzo, a poche centinaia di metri dal sito di San Nicolao, dove dovrebbe sorgere il nuovo discusso impianto proposto da Acsr. Luigi Risso, Armando, Luigi, Matteo, Franco e Roberto Landra rappresentano tre aziende agricole: coltivano mais, cereali, ortaggi, allevano mucche e altri animali. Tra di loro c’è anche Giuseppe Landra,  detto “Gepu”, classe 1945, che ha iniziato la sua attività a Borgo negli anni ’60 e ha vissuto in prima persona la storia della discarica di San Nicolao. 
 
È lui a ricordare il periodo dell’apertura del sito, a cavallo tra gli anni ’70 e gli ani ’80: “Già allora eravamo preoccupati, ma fummo rassicurati: ci dissero che non ci sarebbero stati cattivi odori, né gas o altri danni”. Le cose, però, sarebbero poi andate diversamente: “In poco tempo ci trovammo con i campi bruciati dal gas, campi in cui non cresceva più nemmeno l’erba. Si poteva seminare qualunque cosa, da quella terra non veniva su niente. Il gas che si propagava dai rifiuti depositati in discarica usciva dal sottosuolo rendendo impraticabili le cantine e i pozzi. Diverse persone che lavoravano in queste cascine in quegli anni hanno poi avuto seri problemi a bronchi e polmoni, alcune oggi non ci sono più”. “Gepu” ricorda un episodio in particolare: “Ricordo una vicina di casa, a Cascina Candela, che scesa in cantina riuscì a malapena a risalire prima di svenire, tale era la concentrazione di gas nello scantinato. Dopo alcuni controlli ci venne detto di non scendere mai da soli nei seminterrati, per anni tutte le settimane c’erano rilevazioni del gas nelle cantine da parte di tecnici di Acsr: i risultati delle analisi non ci sono mai stati comunicati. Vennero poi installate delle ventole per portare via il gas dalle cantine stesse”. “La situazione sarebbe poi migliorata con l’apertura dell’impianto della Marco Polo, che incanalava il gas impedendogli di propagarsi nei terreni”, spiegano gli agricoltori.
 
E poi il problema dei cattivi odori, che ha pesato per anni non solo sugli agricoltori della zona, ma su tutta la popolazione di Borgo San Dalmazzo: “Nei giorni in cui cambiava il vento dovevamo rinchiuderci in casa. La sera rientravamo stanchi dal lavoro nei campi, specie d’estate, e invece di aprire le finestre le dovevamo tenerle ben chiuse. Tanti amici e conoscenti ci chiedevano come facessimo a vivere in un posto del genere”. “Addirittura gli affittuari di cascina Re dovettero abbandonarla, tanto forte era la presenza di gas negli scantinati e nei terreni circostanti”, racconta ancora lo stesso Giuseppe Landra: “Per tutti questi problemi la nostra zona venne classificata come ‘degradata’, con conseguenze sui prezzi di vendita degli immobili”. 
 
Un altro problema - citato negli scorsi mesi anche dalla sindaca di Borgo Roberta Robbione - è quello dei materiali persi dai camion diretti agli impianti Acsr: “Già oggi i camion che portano rifiuti agli impianti Acsr vengono caricati troppo, perdono i rifiuti, spesso interi sacchi, che finiscono nei campi che coltiviamo e dove mangiano i nostri animali”.
 
Perplessità anche sul consumo di acqua, che con la realizzazione del nuovo biodigestore passerebbe dai 4 mila mc all’anno attuali a 20 mila mc all’anno: “Il Consorzio irriguo ci ha già avvertiti: se continuerà l’attuale situazione di siccità ci verranno dimezzate le quantità d’acqua disponibili per l’annata irrigua. In questa situazione viene proposto un impianto che andrebbe a quintuplicare i consumi di acqua?”, si chiede uno degli agricoltori che lavora in via Candela.
 
Ulteriori preoccupazione riguardano due concetti espressi dall’assessore Armando Boaglio nel Consiglio comunale borgarino dello scorso 16 febbraio, che si era espresso contro il progetto: “Ho personalmente visitato due impianti del territorio. - aveva detto l’esponente della Giunta Robbione - Nulla da dire sulla tecnologia, ma ne ho visto anche i limiti: un impianto era pubblico e non è riuscito a rimanere sul mercato, dovendo cedere al privato. Nel nostro caso, è evidente che non avremo il conferimento dell’organico necessario da tutta la provincia: questo ci costringerebbe a prendere rifiuti da tutta Italia. Prelevando rifiuti da regioni che non hanno una raccolta differenziata puntuale come la nostra rischieremmo di avere materiale di qualità inferiore. Prendendo materiale di scarsa qualità, avremmo compost di cui non faremmo niente”. “Già oggi il compost prodotto è inutilizzabile, qui a Borgo non lo usa nessuno: la qualità è talmente scarsa che viene regalato altrove”, spiegano gli agricoltori di via Candela: “E poi cosa succederebbe se l’impianto dovesse finire in mani private? Chi ci garantirebbe la tutela delle nostre attività e dei nostri terreni? Lo ripetiamo: negli anni ci sono state fatte tante promesse, ormai non ci crediamo più. Inoltre, se quarant’anni fa il problema poteva riguardare solo le cascine di questa zona, non bisogna dimenticare che oggi l’espansione di Cuneo e Borgo San Dalmazzo ha portato molte altre abitazioni a poche centinaia di metri dal sito”.
 
Ora gli agricoltori della zona di via Candela attendono di poter vedere un progetto definitivo per il biodigestore, che ad oggi non c’è, e si chiedono come muoversi: “Appoggiamo quanto fatto dal comitato guidato da Mauro Fantino e dall’attuale amministrazione: non siamo contro i biodigestori, ma questa zona ha dato. Altrove questi impianti vengono costruiti in zone isolate, non vicino ai centri abitati, e qui siamo inoltre sulle rive di un fiume, su terre che sono già state fortemente compromesse negli anni della discarica. Anche noi vorremmo fare qualcosa, vorremmo far sentire la nostra voce prima che sia troppo tardi. Lo dobbiamo anche ai nostri figli: siamo qui da quattro generazioni, non vogliamo rischiare di rivivere tutti i problemi che la discarica ci ha causato negli anni”.
 

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