Ne abbiamo dato notizia ieri sera: Cuneo non è tra le dieci finaliste per il titolo di 'Capitale della Cultura 2020'. Peccato, quel milione di euro di finanziamenti avrebbe fatto comodo, senza contare l'indotto che avrebbero potuto portare (sotto molti punti di vista) gli eventi correlati. C'è rammarico, ma chiamiamo le cose con il loro nome e nessuno si azzardi a parlare di 'sconfitta', altrimenti saremo portati a credere che la nostra città sia inferiore a Casale Monferrato o Bitonto.

Certo, magari uscirà qualche solone che troverà un qualunque motivo per affermare che la tradizione del comune monferrino è storicamente più significativa, d'altronde non è certo difficile trovare un pretesto per polemizzare gratuitamente.  E ancor peggio ci sarà qualcun altro che sbucherà da una traversa di via Roma paragonando la “disfatta” al Ministero dei Beni Culturali a qualche episodio di mala amministrazione o all'incapacità di questo o di quell'altro.

Stupidaggini. La verità è che Cuneo non ha perso, ma non ha vinto. Non si tratta di una sottigliezza linguistica, ma di un dato di fatto: se gareggiano in trentuno, si può non arrivare primi senza strapparsi i capelli e senza citare Boniperti.

Ora la sfida è raccogliere il fermento e l'entusiasmo che si è creato intorno alla candidatura di Cuneo a Capitale della Cultura 2020 e indirizzarlo verso qualcosa di concreto. Tra chi si è distinto nel panorama culturale c'è indubbiamente il FAI (Fondo Ambientale Italiano), che ben sta lavorando per la divulgazione storico-scientifica sul territorio. Domani 17 gennaio, alle 18, la fondazione presenta al Galì il programma per il 2018. Un buon numero di presenze potrebbe essere un punto di partenza importante per rilanciare davvero la cultura nella nostra città, a prescindere da titoli che, se non accompagnati dalla sostanza, lasciano il tempo che trovano.