CUNEO - Chi vorrà la cittadinanza italiana dovrà parlare della Fiera del Porro?

Se gli emendamenti della destra allo Ius Scholae venissero approvati, tra prodotti e sagre tipici, gli effetti sarebbero tragicomici

Samuele Mattio 14/07/2022 12:39

Sono passati i tempi in cui il presidente del Consiglio dei Ministri, oltre a esercitare le incombenze date dal ruolo, era solito intrattenere il pubblico con barzellette e aneddoti, ma già all’epoca il dibattito sull’allargamento dei requisiti per ottenere la cittadinanza italiana era all’ordine del giorno. Il riferimento, come anche i meno perspicaci avranno intuito, è all’ex premier e leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, che era - ed è tuttora - piuttosto avvezzo a raccontare in pubblico storielle scherzose.
 
Le legislature passano, le barzellette restano, verrebbe da dire. Tant’è che una di queste, nonostante sia vecchia di qualche anno, casca a pennello per commentare l’argomento di stretta attualità. Un sindaco leghista - esordiva il leader azzurro - cerca un pretesto per non dare la cittadinanza a un cinese che partecipaall’esame di idoneità. I test da sostenere riguardano varie materie: dalla cultura italiana alla storia e geografia italiana. Ma ce n’è uno in particolare, sui proverbi nostrani, molto insidioso. Il cinese - continuava Berlusconi -, a sorpresa risponde a tutte le domande, ma il primo cittadino del Carroccio non dispera, convinto che la bocciatura arriverà quando si tratterà di affrontare l’ultima prova, quella sui proverbi da completare. Il sindaco inizia il test: “Cielo a pecorelle?”. E l’esaminando completa: “Pioggia a catinelle”. “Tanto va la gatta al lardo?”. Pronta la risposta: “Che ci lascia lo zampino”. Poi il quesito decisivo: "Can che abbaia?”. Il cinese non ha dubbi e invece di completare l’aneddoto con “non morde” risponde a modo suo: “Can che abbaia? Poco cotto”.
 
“Io a questo la cittadinanza non gliela dò” chiosava l’ex premier, scimmiottando l’ immaginario primo cittadino leghista (partito alleato, peraltro). Il paradosso è che, nel 2022, la realtà ha ampiamente superato la fantasia dell’ex Cavaliere. Almeno così accadrebbe se alcuni tra le centinaia di emendamenti, presentati da Lega e Fratelli d’Italia alla proposta di legge sull’ex Ius Soli trasformato in Ius Scholae, fossero approvati e arrivassero a modificarne il testo.
 
C’è davvero di tutto, procediamo letteralmente: perfetta conoscenza degli usi e costumi italiani mediante prova orale sulle tradizioni popolari più rinomate, un test scritto di lingua italiana sul presepe nel nostro Paese, una prova orale sulle sagre tipiche italiane, così come un colloquio sulle festività regionali e uno scritto sulle ricorrenze del calendario. Altri richiedono conoscenze sui prodotti tipici della gastronomia, della musica del Belpaese (con tanto di riassunto su un brano di musica italiana, n.d.r.), ma anche un “colloquio su usi e costumi dagli antichi romani a oggi”.
 
Fra l’altro, per dare la cittadinanza a chi è nato in Italia e ha frequentato le scuole dell’obbligo per cinque anni, i leghisti vorrebbero pure vincolare il riconoscimento del diritto al merito scolastico (diploma con voto finale di almeno 90/100 o media del 9). Chi scrive ha provato a immaginarsi la scena e si è trovato di fronte a un vero e proprio teatro dell’assurdo.
 
A un bambino o a una bambina nati in Italia, o qui arrivati da un altro paese entro i 12 anni insieme ai genitori, dopo un ciclo scolastico di cinque anni, potrebbe essere domandato in sede di rilascio della cittadinanza cosa sia la fiera del Porro di Cervere o quando si tenga la sagra della Fragola di Peveragno. Il tutto con protagonisti studenti di dieci anni, se non meno. Non solo, gli aspiranti italiani potrebbero trovarsi a dover rispondere su cosa siano le Cuiette della valle Stura o le “Ancioe ant el bagnet verd”.
 
Sarebbe curioso vedere i risultati del test se sottoposto agli stessi parlamentari. Una scena che, se trovasse spazio nella realtà, ricorderebbe il brillante sketch “Il Conte Dracula”. Anche chi non è un grande estimatore delle pellicole di Aldo, Giovanni e Giacomo, avrà visto almeno una volta il video dell’”Inganno della cadréga”: i lombardi Gino (Giovanni Storti) e Michele (Giacomo Poretti), insospettiti dalla cadenza del Conte Dracula (Aldo Baglio, siciliano di origine), vogliono verificarne la provenienza. La vittima dell’inganno viene quindi portata davanti a una tavola imbandita e le viene offerta una “cadréga”. Gino e Michele sperano, così, di smascherarne le evidenti origini meridionali. Per i parlanti settentrionali, infatti, il termine indica una sedia. Non per gli abitanti del resto della penisola: il trucco funziona. Dracula, non sapendo cosa significhi il termine, addenta una mela ed esclama: “Buona questa cadréga”. Esame di dialetto non superato e sentenza inappellabile: “Chiel sì l’è un terun”.
 
Se gli accostamenti più immediati, leggendo gli emendamenti del Carroccio allo Ius Scholae, approdano prima a una barzelletta di Berlusconi e poi a uno sketch comico... forse qualcosa da rivedere nell’attività parlamentare italiana c’è. Per restare in tema... “con 30mila lire il mio falegname li faceva meglio”.
 
Editoriale pubblicato sul settimanale cartaceo di Cuneodice in edicola oggi, giovedì 14 luglio.

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