CUNEO - Culle vuote, l’immigrazione non basta più: “Nel 2041 tre anziani per ogni bambino nella Granda”

“Ma l’inverno demografico non è ineluttabile” avverte il rettore della Bocconi. Tra i rimedi, welfare aziendale e meno lavoro: “La legge sulle 35 ore non è sbagliata”

Andrea Cascioli 13/06/2024 15:50

L’inverno demografico è qui e il gelo si sente nelle aziende, ormai, oltre che nei reparti di maternità. Se ancora pochi anni fa ci si illudeva che l’immigrazione bastasse a salvare il bilancio, ora la realtà ci mette davanti un quadro tutto dipinto a tinte fosche. La Granda, va detto, anche da questo punto di vista fa meglio di gran parte dell’Italia, ma ciò non significa che il problema non esista. Anzi.
 
Dalla “piramide” alla “nave”: l’età media in provincia sale a 46,6 anni
 
Il saldo demografico, aggiornato al 1 gennaio 2024, ci parla di 3.946 nati e 6.931 morti nell’ultimo anno. Se allarghiamo lo sguardo al biennio, a partire dal 2022, le nascite sono 7.920 e i decessi 14.524. Gianni Aime, responsabile del settore promozione studi e comunicazione della Camera di Commercio di Cuneo, ha affrontato il tema presentando il focus dell’ufficio studi sulle tendenze demografiche in provincia. Insieme a lui c’era il professor Francesco Billari, ordinario di demografia e rettore dell’università Bocconi di Milano.
 
“Nel 2005 - spiega Aime - avevamo 161,6 over 65 ogni 100 under 15, oggi siamo a 199,2: nel 2041, se continua il trend, l’indice in provincia di Cuneo sarà di 276,1. Cioè quasi tre persone sopra i 65 anni, per ognuna nella fascia di età sotto i 15”. Con ciò che comporta in termini di crescita dell’indice di dipendenza strutturale, ovvero il rapporto tra la popolazione non attiva (0-14 anni e ultrasessantacinquenni) e quella in età da lavoro: dal 54,8 del 2005 siamo al 60,2, con la prospettiva di arrivare al 77,4 entro il 2041. Il confronto è ancora più preoccupante, se si pensa che nel 1982 la classe di età più numerosa era quella tra i 15 e i 19 anni: oggi la “piramide” è diventata una “nave” demografica e i più presenti sono i 55-59enni. Se non cambia nulla, nel 2041 la fascia più ampia sarà quella da 70 a 74 anni. Se è eccessivo scomodare il termine “isola felice” in questo frangente, si può comunque rilevare che Cuneo, nell’ultimo quarantennio, se l’è cavata meglio di altri: dal 1999 a oggi, la provincia ha sempre avuto un tasso di fecondità più alto del Piemonte e dell’Italia. Ma anche la Granda si incanutisce a vista d’occhio: l’età media era di 43,9 anni nel 2005, oggi è di 46,6 anni. Nel 2041, secondo le previsioni, salirà a 49 anni. Per ora restiamo in linea con la media nazionale e sotto al trend regionale (47,9 anni).
 
In un decennio sono “spariti” 9mila giovani imprenditori
 
“I movimenti dell’immigrazione non bastano più a compensare la denatalità” conferma Aime. Sul fronte del lavoro, la “dittatura degli anziani” è già un dato di fatto: il 51,4% delle persone con cariche in società di capitali, nella provincia, ha dai 50 ai 69 anni. Non cambia granché fra le 39.653 ditte individuali, che restano la parte più consistente - pur in calo - delle imprese: “Abbiamo avuto 9mila imprenditori in meno, tra gli under 50, rispetto al 2011. Gli over 50 sono il 60%. A fine 2023, sulle 65.123 imprese iscritte alla Camera di Commercio, c’erano 5.988 imprese giovanili: sono 1.824 in meno rispetto al 2011. Nello stesso arco di tempo, però, le imprese straniere sono ormai divenute 4.935, con una crescita quasi doppia”.
 
C’è anche un altro tema, ed è quello dei famosi cervelli in fuga. Il saldo migratorio interno dei laureati tra i 25 e i 34 anni, dal 2012 al 2021, colloca il Piemonte al quarto posto tra le regioni italiane, dopo Lombardia, Emilia Romagna e Lazio: in Italia siamo una regione che attrae talenti, ma il saldo con l’estero è negativo per tutti - Lombardia compresa. Il Piemonte, in particolare, insieme al Friuli-Venezia-Giulia è l’unica area del nord Italia caduta nella cosiddetta “trappola per lo sviluppo di talenti”: cioè è una delle 46 regioni europee che da un lato hanno sperimentato un’accelerazione del declino di persone in età lavorativa, dall’altro mantengono un numero stagnante di persone con istruzione terziaria.
 
Per fare una famiglia serve certezza: “Troppi bonus cambiano con i governi”
 
Cosa fare, insomma? Una risposta prova a darla il rettore della Bocconi: “Sono critico verso l’espressione inverno demografico, sembra delineare una ineluttabilità dell’esito. In realtà il futuro, ancora di più per la provincia di Cuneo, è tutto da scrivere dal punto di vista demografico”. Per prima cosa, tocca fare piazza pulita di alcuni luoghi comuni: più ricchezza non significa per forza meno figli, ma altrettanto vale per l’aumento del lavoro femminile. “Ogni tanto - osserva Billari - qualche politico dice che dovremmo tornare alla situazione in cui le donne stavano a casa e curavano i figli: devo ricordare che è un pezzo molto breve della storia dell’umanità e non era un equilibrio stabile. Il secondo aspetto è che ormai, nei Paesi in cui le donne partecipano di più al mercato del lavoro, si fanno più figli: pensiamo alla Svezia o alla Francia”.
 
Il paragone con la Francia (e non solo) aiuta a comprendere cosa sia mancato finora in Italia: sicurezza e stabilità, anzitutto. “Le scelte di sostegno economico prese in Francia - spiega il demografo - sono state quasi ‘costituzionali’, non soggette all’alternanza di un tempo tra gollisti e socialisti. La Germania intanto è andata verso la scelta di un asilo nido sussidiato universalmente: in Italia siamo a un terzo. Ha inciso il cambiamento degli orari scolastici, così come l’inclusione della mensa tra i servizi offerti a prescindere dal reddito e i congedi genitoriali più ‘simmetrici’”. Le misure possono essere molteplici, purché siano certe: “Se a ogni cambio di governo e a ogni legge finanziaria ci si può aspettare un cambiamento delle politiche, anche il bonus per i nidi che arriva oggi potrebbe essere tagliato con la prossima manovra. Dobbiamo avere meccanismi credibili che diano una prospettiva stabile alle famiglie”.
 
Lavorare meglio, lavorare tutti (anche da genitori)
 
Le politiche sulla genitorialità, avverte Billari, vanno pensate tenendo presente che avranno impatto sul mondo del lavoro solo tra un ventennio. Anche questo è un limite, se la politica ha lo sguardo corto. I comuni possono fare qualcosa, per esempio sugli asili nido, ma servono soprattutto azioni di sistema e queste si scontrano, tra l’altro, con i problemi di finanza pubblica dell’Italia. Per questo non è sbagliato, secondo il professore, pensare di rivolgersi alle aziende: “Alcune imprese coreane hanno iniziato a dare sostegni ai dipendenti che hanno figli: gli asili nido sono un altro aspetto su cui le imprese possono incidere, così come sulla gestione degli orari e lo smart work. Servirebbe però un sistema coordinato”.
 
Il discorso tocca anche l’immigrazione: “Le imprese non possono pensare solo ai lavoratori, è un altro problema della Bossi-Fini. L’immigrazione, al pari della genitorialità, è una scelta di lungo periodo: il tema va pensato non solo dal punto di vista occupazionale, ma anche da quello dell’integrazione”. Poi c’è il vero “elefante nella stanza”, introdotto da una domanda fra il pubblico: il lavoro precario e povero. “È chiaro - ammette Billari - che la situazione economica determina la scelta di diventare genitori e l’Italia è uno dei Paesi in cui l’età media per il primo figlio supera di molto i 30 anni. Senza una prospettiva economica non si diventa genitori, c’è però anche l’imprenditorialità: nei Paesi nordici molti giovani fondano imprese e danno lavoro”. In una società di famiglie non più “costrette” a fare figli, la natalità si incentiva dimostrando che essere genitori non significa per forza sacrificarsi. A sorpresa, su questo punto, dal docente bocconiano arriva un’apertura di credito a una delle misure sociali più contestate del passato recente: “La Francia è stata sbeffeggiata dagli economisti per la legge sulle 35 ore, ora un po’ tutti stanno andando verso quella direzione: è meglio avere in una coppia due persone che lavorano 35 ore, anziché uno cinquanta e l’altro zero”.

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