CUNEO - Cuneo, l’ex Casa del Fascio femminile ospiterà un progetto per l’autonomia dei disabili

La riqualificazione con 715mila euro del Pnrr. Quattro ragazze hanno accettato la proposta del Consorzio Socio Assistenziale: “Ma è difficile convincere le famiglie”

Andrea Cascioli 06/04/2023 18:26

Può tornare a nuova vita uno dei molti stabili da tempo abbandonati che la città di Cuneo annovera nel suo patrimonio. Si tratta in questo caso dell’ex Casa del Fascio femminile, l’edificio all’angolo tra via Cavallotti e via Bruni che l’Agenzia del Demanio ha passato in consegna al Comune nel 2015.
 
Il Consorzio Socio Assistenziale vuole farne la sede di un progetto per l’autonomia dei disabili, finanziato con i fondi del Pnrr. Costo previsto per la riqualificazione: 715mila euro. L’obiettivo è coinvolgere soprattutto i disabili intellettivi che oggi vivono in famiglia: “Pensiamo a un percorso anche nell’ottica del ‘dopo di noi’, con l’uscita dalla casa dei genitori e il monitoraggio degli operatori” ha spiegato il direttore del Consorzio Giulia Manassero ai consiglieri comunali della seconda e sesta commissione, riunitisi ieri (mercoledì 5).
 
Sui dodici beneficiari previsti per ora ne sono stati trovati quattro. Sono tutte ragazze sotto i trent’anni, con una disabilità intorno al 70%: “Ci danno molta fiducia, le stiamo facendo conoscere perché possano avviare la convivenza. Alcune di loro fanno tirocini ma si tratta di ‘lavoretti’, diventerà vero lavoro quando saranno inserite nel progetto”. Per evitare spiacevoli delusioni agli interessati, gli operatori del CSAC si sono incaricati di selezionare da un elenco di cinquanta persone quelle che hanno le caratteristiche più indicate. Ma non è facile: “Abbiamo tanti no dalle famiglie: almeno cinque hanno rifiutato la proposta, perché non è semplice intraprendere un percorso di autonomia come questo. È una cosa che spaventa moltissimo tanti genitori, specie se avanti con l’età e appesantiti dalla prospettiva del ‘dopo di noi’. Uno di loro ci ha detto che avrebbe preferito semmai che qualcuno venisse a casa con loro e con il figlio disabile, anziché il contrario”. Significativo, secondo Manassero, è il fatto che tutti i “sì” siano arrivati dalle ragazze e i “no” dai genitori delle altre famiglie contattate: “È qualcosa su cui dobbiamo aiutarli”.
 
L’altro grosso ostacolo era costituito dal bando stesso, ben poco “ritagliato” sulle esigenze dell’assistenza ai disabili in Piemonte. All’inizio, per esempio, non si pensava nemmeno a una grande struttura come quella poi indicata: “Pensavamo a sei case per due persone in vari comuni. Il ministero però ci ha imposto di selezionare al massimo due appartamenti da sei persone. L’ex Casa del Fascio femminile sembra ‘fatta per noi’ perché ha sei stanze per ogni piano, più un locale comune. Il vantaggio è che potremo offrire alle ragazze più ore da passare con l’operatore che le accompagna”. L’edificio, assicura, è in buono stato e non richiede lavori enormi. Ma certo necessiterà di una “rinfrescata”, in attesa della quale si attende una soluzione provvisoria: “Abbiamo affittato per un anno due appartamenti a San Rocco, dove inizieremo a sperimentare la convivenza: l’idea è di partire il 1 giugno con questa opzione temporanea”.
 
Il bando non pone vincoli in merito al lavoro che i disabili dovranno svolgere, tuttavia si spera di andare oltre l’ottica del tirocinio, con l’aiuto delle aziende del territorio. Anche in termini di tempo, chiarisce Manassero, nessuno verrà abbandonato: “La nostra idea è che l’esperienza non sia limitata alle tempistiche del Pnrr: sarebbe uno scherzo crudele. Col Pnrr si allestisce la casa, poi le risorse per accompagnarli dopo le troveremo. Non immaginiamo neanche di poter dire ai ragazzi coinvolti di tornare a casa”.  L’adesione, insomma, “va concepita come un’esperienza, non per forza definitiva, se dopo si vuol fare un altro passo”.
 
Non si può sbagliare, ripete anche il presidente del Consorzio Socio Assistenziale, Giancarlo Arneodo: “L’autonomia è forse la sfida più grande che abbiamo di fronte in questo momento: le famiglie si convinceranno quando vedranno che per una serie di persone questa è la soluzione adatta”. Ma è anche, aggiunge, “una grande opportunità per valorizzare un bene dal punto di vista patrimoniale” e, forse, per restituire slancio ad altri progetti: “Nel socioassistenziale la carenza di personale è tragica. Dobbiamo fare una riflessione come società, perché lavori come l’assistente sociale e l’educatore non hanno più l’appeal che avevano venti o trent’anni fa”.

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