CUNEO - Cuneo-Ventimiglia: sembrerà assurdo, ma in Francia si protesta perché i servizi funzionino

Lo sciopero a Breil mostra che oltralpe si è meno avvezzi a tollerare “tagli” e soprusi. A proposito: che fine hanno fatto i due Cuneo-Torino “sospesi per Covid”?

Andrea Cascioli 13/08/2024 15:35

Ho fatto un salto dalla sedia leggendo il volantino scritto dai ferrovieri francesi in sciopero sulla Cuneo-Ventimiglia, per illustrare le ragioni della loro protesta. Nel foglio, che gli estensori hanno avuto la gentilezza di tradurre in italiano a beneficio dei viaggiatori d’oltralpe, si parla dei disagi che l’annunciata chiusura della biglietteria di Breil potrà comportare.
 
Tra questi, lo cito testuale, il fatto che “l’unico modo per prendere un biglietto sarà la macchina automatica sul binario (molto spesso fuori uso) e i cellulari. La macchina automatica funziona solo per i treni regionali francesi, non per i treni italiani, e non dà il resto”. Chiunque abbia il dubbio piacere di viaggiare sui regionali in Italia ha innumerevoli esperienze da raccontare circa il non funzionamento delle macchinette nelle piccole stazioni (ma mica solo in quelle). La biglietteria automatica che non funziona o non dà resto per noi è un elemento del paesaggio, come l’obliteratrice che non timbra, i bagni fuori uso in stazione e a bordo, l’aria condizionata spenta in estate oppure accesa a 12 gradi quando si viaggia in maglietta, i posti a sedere che si esauriscono alla prima di nove fermate del treno. Qualche protesta in più magari la suscitano i ritardi, ma anche lì: alla fine, che ci vuoi fare?
 
L’italiano in treno assiste allo stillicidio di soprusi che Trenitalia e Rfi gli infliggono, un giorno sì e un altro pure, con l’occhio del contadino che osserva la grandine devastare il raccolto. Ti fa arrabbiare e stringere i pugni, ma si fatica perfino a concepirla come un’ingiustizia: è solo una cosa che cade giù dal cielo, appunto. Ho avuto un’ennesima esperienza di questo non più tardi di una settimana fa, tornando in treno dopo un viaggio aereo. Chi acquista i biglietti online avrà scoperto che da qualche tempo è in vigore il check-in sui regionali: mentre in precedenza bastava mostrare la mail o lo stampato, ora bisogna ricordarsi prima di salire sul treno di cliccare su un link e validare il biglietto. Una sorta di obliterazione “fai da te”, che in alternativa può essere fatta tramite la app di Trenitalia: altrimenti, c’è la multa. Il senso di questo aggravio, in teoria, è rendere più flessibili orari e date dei viaggi, che una volta non si potevano modificare e oggi sì.
 
Bene. Anzi male, perché il sistema escogitato da Trenitalia - neanche a dirlo - fa pena. Ho provato in più occasioni a validare il biglietto online, non ci sono mai riuscito. Alla fine mi sono dovuto risolvere a scaricare l’ennesima, inutile app sul cellulare e - sorpresa - in occasione dell’ultimo controllo, per un momento, non funzionava neanche quella. A una ragazza che viaggiava vicino a me, e che a sua volta non era riuscita a effettuare il check-in, la giovane capotreno ha ricordato che non poteva farlo davanti a lei “perché è una truffa”. Io ho l’impressione che il termine usato da lei usato - truffa - si attagli molto meglio a un meccanismo introdotto per costringere i viaggiatori a validare un biglietto già pagato, con la data e l’ora impressi, appioppandogli oltretutto una multa se non ci riescono o se - Dio non voglia - viaggiano col cellulare scarico o non possiedono uno smartphone (cosa che non figurava ancora tra gli obblighi di legge, l’ultima volta che ho controllato). A ciò si aggiunga il fatto che una rivoluzione copernicana del genere non è stata preceduta dall’ombra di una campagna di comunicazione: di mestiere faccio il giornalista e io stesso l’ho scoperto solo acquistando un biglietto. Posso immaginare cosa ne sappiano, per esempio, gli anziani o gli stranieri.
 
Ripenso a tutto questo e poi ai francesi che scioperano per il timore che in futuro, al posto del bigliettaio, ci sia una macchinetta che non dà resto e magari non funziona. Mi viene in mente quella scena del film La ballata di Buster Scruggs in cui James Franco, prossimo ad essere impiccato, si volta verso il suo compagno di sventura con la corda al collo e gli domanda, con un sorriso: “Prima volta?”.
 
A proposito. All’epoca del Covid il primo e l’ultimo treno della linea Cuneo-Torino, quello delle 4,21 e quello delle 23,25, vennero sospesi e mai più riattivati. Il risultato è che oggi un’intera provincia da mezzo milione di abitanti è priva di collegamenti ferroviari serali con il capoluogo regionale: vorresti andare a cena a Torino, a vedere uno spettacolo al Massimo o al Regio? Bene, prenditi la macchina, o se non puoi una stanza d’albergo, in una metropoli che dista un’ora di treno (se ci fosse) da Cuneo. Altrettanto si “consiglia” ai pendolari che hanno necessità di arrivare presto al mattino, o ai poveri tapini che devono prendere un aereo a Caselle o una coincidenza a Porta Nuova. Questo sopruso, deciso con un tratto di penna non si sa bene da chi né perché, è un’altra delle enormità che abbiamo tollerato con un’alzata di spalle. Sarebbe bello se si maturasse almeno un po’ della consapevolezza dei “cugini” di Breil e si cominciasse a dire che no, non è una disgrazia che ci è piovuta dal cielo. È un disservizio contro cui i sindaci, il presidente della Provincia, gli otto consiglieri regionali, i due assessori, i quattro parlamentari eletti dovrebbero lottare, anche a costo di azioni clamorose, ogni volta che si trovino ad interloquire con Trenitalia.
 
Anche perché, parliamoci chiaro, con gli ultimi rincari di luglio il Cuneo-Torino, andata e ritorno, è arrivato a costare 17 euro: è il prezzo di un pranzo di lavoro più vino e caffè. Sommando gli abbonamenti annuali passati a 1.300 euro - dai 1.100 del 2021 - ce n’è quanto basta per pretendere almeno il servizio garantito di prima, e magari perfino le macchinette funzionanti.

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