Ogni Azienda sanitaria locale d’Italia dovrebbe avere, secondo le indicazioni del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità, un iter di cura specifico per coloro che soffrono di disturbi alimentari. Il percorso si compone di domicilio, ambulatorio, ambulatorio di secondo livello - in cui si somministrano pasti assistiti per garantire la riabilitazione nutrizionale dei pazienti - e, infine, la residenzialità nei casi più acuti. Ma questo, nella metà delle regioni non avviene.
“Nonostante tutte le raccomandazioni del Ministero, nonostante l’aspetto scientifico e i convegni di questi ultimi vent’anni questi percorsi di cura non sono stati effettuati ovunque”, dice il direttore del Dipartimento di salute mentale dell’Asl Cuneo 1 Francesco Risso. Le parole del direttore riprendono l’intervento della direttrice della Rete per i disturbi del comportamento alimentare della Usl 1 dell’Umbria Laura Dalla Ragione all’incontro organizzato con la Fondazione Ospedale Cuneo Onlus giovedì 8 giugno. A Cuneo questi percorsi sono stati tracciati e vengono effettuati con regolarità, ma “a Torino e in metà delle regioni italiane non c’è nulla”, continua.
La situazione nel resto del Piemonte non è rosea. “L’ospedale Regina Margherita, che dovrebbe servire tutta la regione, non ha più possibilità di ricovero perché è sommerso solo dalla zona di Torino”. I percorsi per guarire dai disturbi alimentari sono troppo radi sul territorio italiano. “Ci sono famiglie che viaggiano migliaia di chilometri per far curare i propri figli. Le strutture dovrebbero stare vicino ai pazienti”.
Nel 2021 in Italia sono stati circa 3.500 i decessi per disturbi fisici, emaciazione, disturbi metabolici e suicidio. Perché sì, “di anoressia si muore ancora”, afferma Francesco Risso. Ma, in presenza di questi percorsi, i pazienti riescono a evitare la morte. “Quando si muore vuol dire che il percorso non c’era o mancava di alcuni punti, ad esempio dell’aspetto residenziale o ambulatoriale”.
Perché c’è questo squilibrio tra regioni con un conseguente livello di cure spesso insufficiente? Attualmente mancano circa 40 miliardi al fondo sanitario nazionale. Di questo fondo, l’Italia dedica il 3% ai disturbi mentali, mentre i Paesi avanzati d’Europa - come Regno Unito, Francia e Olanda - investono più del triplo: il 10%. “L’assistenza sanitaria in Italia lascia a desiderare perché la sanità pubblica negli ultimi trent’anni è sempre stata saccheggiata da tutti i governi, sia di destra sia di sinistra”, dice il direttore Risso. È bene ricordare che in adolescenza, in particolare tra i 13 e i 18 anni, la malattia mentale (con conseguente emaciazione, suicidio…) è la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali.
A Cuneo nei primi cinque mesi del 2023 sono stati somministrati quasi seicento pasti assistiti. Gli alimenti vengono confezionati dalla nutrizione clinica dell’ospedale di Cuneo, portati poi a villa Santa Croce, dove sono consumati dai pazienti. “La fase della nutrizione è quella più difficile. Per questo sono necessari aiuto e supporto di personale di assistenza, educativo e infermieristico formato”, sostiene il dottor Risso. Il tema della formazione è fondamentale. “Deve essere trasversale: non solo a psicologi, nutrizionisti e psichiatri, ma anche a pediatri e medici di base perché sono loro che per primi riescono ad intercettare i disturbi alimentari; spesso rappresentano il punto di riferimento della famiglia”.
I pazienti in carico a Cuneo adesso sono circa quattrocento. I numeri mostrano bene come i percorsi e gli ambulatori dedicati siano fondamentali. “Nella zona di Saluzzo e Mondovì - dice il direttore - l’anno scorso abbiamo aperto un ambulatorio dedicato ai disturbi alimentari. Si tratta di un’area dotata di un’equipe multidisciplinare composta da psicologo, medico, psichiatra, nutrizionista, dietista, infermiera, oss, educatore. Da quando queste ‘antenne’ sono state aperte le persone in cura sono passate da cinque a novantacinque”.
A livello italiano, i pazienti sono circa tre milioni. Ma “è un dato sottostimato perché è solo la punta dell’iceberg. C’è una popolazione affetta da disturbi mentali che non si cura perché vive in posti in cui questi percorsi non ci sono. Il disturbo non guarisce da solo. Inoltre, se non viene curato in modo adeguato si cronicizza. Il momento più drammatico è quando la sofferenza del corpo raggiunge una gravità tale per cui si muore per problemi metabolici, di osteoporosi, cardiopatia. La speranza di vita scende a 40-50 anni se queste malattie non si curano”.
Nella società dell’iper-connessione un ruolo importante è giocato dai social network. Secondo una ricerca dell’Istituto superiore di sanità riportata nel libro “Social fame. Adolescenza, social media e disturbi alimentari” della dottoressa Laura Dalla Ragione, nel 70% dei casi i social influenzano i giovani in maniera negativa, nei restanti in modo molto negativo. “I social da un lato sono una grandissima opportunità - sostiene il direttore Risso - dall’altro sono pericolosi perché veicolano sempre un messaggio di un certo tipo, quello della ragazza sottopeso. Il rischio di ammalarsi e di ammalarsi gravemente, in particolare per le persone che hanno una bassa autostima o per chi ha una forte tendenza al perfezionismo, è alto”.
Il problema è che linee guida sull’uso dei social media in età adolescenziale non esistono. Vietarli del tutto può essere dannoso perché Internet è uno strumento di approfondimento fondamentale, ma permetterli senza filtri può essere ancor più nocivo. “Il controllo dei social va al di là della scuola, in questo caso è importantissimo il ruolo della famiglia”.
La situazione è preoccupante e con il passare del tempo non migliora, ma Cuneo - come altre zone d’Italia - sta cercando di reagire. E i risultati si vedono. “È un percorso lungo, ma se la paziente viene curata bene si guarisce. Questo è l’obiettivo dei percorsi avviati nel Cuneese e per questo sarebbe fondamentale che venissero portati avanti in tutte le province della penisola”.