CUNEO - "Ecco perché parteciperò alle celebrazioni del 25 Aprile"

Le riflessioni dell'ex senatore e sindaco di Cuneo Giuseppe Menardi sulla festa della Liberazione

Giuseppe Menardi

Redazione 22/04/2023 15:19

Riceviamo e pubblichiamo.
 
Quest’anno la città di Cuneo avrà l’onore di festeggiare il 25 Aprile alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. In qualità di senatore ed ex Sindaco della città sono stato invitato alla cerimonia. Come cittadino, e uomo delle istituzioni, sarò certamente presente all’appuntamento. Infatti, l’art. 87 della Costituzione sancisce che il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale. E questa è la prima ragione per la quale sarò presente alle celebrazioni. Mi riconosco in pieno nell’autorevolezza del Presidente della Repubblica che con la sua persona garantisce l’unione della nostra comunità nazionale e nel contempo è il potere al di fuori della tripartizione dei poteri – legislativo, esecutivo, giudiziario – che esercita una funzione di sorveglianza e coordinamento della Repubblica.
 
Con questi presupposti sento di poter svolgere alcune considerazioni che, se non avessi questa fiducia nel Presidente Mattarella e nella maturità della nostra democrazia da esso preservata e garantita, non mi permetterei di fare, e ciò, semplicemente per il timore di non essere compreso e difeso. Il 25 Aprile in passato è stato da me vissuto come una festa a metà. Era una giornata non lavorativa ma in casa non c’era il clima festoso riscontrabile in altre ricorrenze. In particolare, ricordo che il mio papà evitava di uscire o comunque non percorreva i luoghi affollati per non trovarsi coinvolto in discussioni spiacevoli. Infatti egli riteneva, a ragione, che si dovesse celebrare la liberazione dell’Italia dal Nazi-Fascismo, ma che la resistenza fosse altra cosa e potesse essere ricordata in modo disgiunto, senza coinvolgere i diversi comportamenti, sentimenti, valori che erano stati toccati, durante l’epilogo della guerra, la caduta del Fascismo, la vittoria degli alleati. Io sono figlio di un internato nei campi di concentramento tedeschi.
 
La storia del mio papà, Giovanni Menardi, è molto semplice: egli era un ragazzo per bene e dopo aver prestato il servizio militare obbligatorio, regolarmente veniva richiamato ogni volta che si apriva un fronte di guerra a cominciare dalla guerra di Etiopia nel 1935. Perciò quando l’Italia dichiarò guerra alla Francia il 10 giugno 1940, egli non voleva assolutamente presentarsi, erano cinque anni che a intermittenza la Patria lo costringeva a fare il soldato. A quell’epoca aveva 26 anni, un lavoro, era un tipo apprezzato e capace, uno dei pochi che aveva la patente, ed era consapevole del grande errore che l’Italia stava commettendo, di più raccontava sempre che lui sentiva che da quella esperienza non sarebbe tornato vivo. La nonna però facendo appello alla dirittura morale del papà e a quella della famiglia che consisteva innanzi tutto nel rispetto dei doveri, lo convinse a partire, ricordandogli che se la Patria chiama, il dovere di un cittadino è quello di rispondere: obbedisco.
 
Così il mio papà parti e tornò a casa, per sua fortuna solo nel 1946, con le cicatrici fisiche della guerra, compresa una ferita lunga quattordici centimetri. Lo rimpatriarono oltre cinque anni dopo la sua partenza ed elemento curioso, il rientro fu operato con una certa difficoltà, perché i primi prigionieri militari, quando arrivarono sul suolo italiano ebbero dure “discussioni” con i loro coetanei che, anziché aderire al richiamo delle armi erano scappati in montagna e vantavano lo status di aver vinto la guerra e cacciato i nazifascisti.
 
Ha ragione Mughini: “Nelle grandi battaglie sul suolo italiano che decisero l’esito della guerra a favore degli alleati, il contributo della Resistenza è minimo. A spezzare la colonna dorsale ai nazi non furono certo gli agguati a uomo dei GAP nelle città italiane del nord, ma bensì le centinaia e centinaia di bombardamenti che rasero al suolo pezzi di città italiane. Il gran Consiglio del fascismo, in cui 19 dei 28 membri votarono contro Mussolini era la diretta conseguenza dei 3mila morti romani a causa dei bombardamenti del 19 luglio - dice ancora Mughini -. Quanto a quelli che commemorano il 25 aprile come se l’avversario di allora fosse ancora presente e minaccioso nelle odierne società europee, a loro va soltanto il mio disprezzo intellettuale. Nel Terzo millennio in cui viviamo il termine stesso di – fascismo – non significa nulla di nulla, a meno di non confondere alcune pattuglie di ragazzotti semianalfabeti con la tragedia europea della Prima guerra mondiale con tutti i suoi annessi e connessi. Tragedia da cui promanò il fascismo storico e i suoi protagonisti, Mussolini, Dino Grandi, Giuseppe Bottai, Mario Sironi, Giovanni Gentile, Giacomo Acerbo, Filippo Tommaso Marinetti e ne sto dimenticando qualcuno”.
 
Il 25 Aprile, pertanto, per la grande maggioranza del popolo italiano non può essere confuso con la festa della Resistenza, e soprattutto per i sopravvissuti ai lager nazisti, per i reduci che non avevano avuto la possibilità di fare fortuna durante la lotta di liberazione perché erano internati in campo di concentramento, non poteva che essere la celebrazione della libertà conquistata con il contributo di tutti, ma soprattutto degli alleati e delle centinaia di migliaia di cittadini morti sotto i bombardamenti delle truppe alleate, o trucidati dai nazisti nella loro ritirata.
 
Oggi dobbiamo cominciare a leggere la storia di quei tragici eventi con gli occhi disincantati e, con la mente libera dalla propaganda di chi aveva voluto piegare la realtà tragica della lotta per la liberazione e la vittoria per la conquistata libertà per merito di un gruppo valoroso di uomini e donne che avevano fatto della scelta di lotta al fascismo la soluzione più facile per la loro sopravvivenza. Se coloro che hanno avuto dalla loro appartenenza ad un gruppo che, con altrettanto sacrificio delle migliaia di morti, vittime dei bombardamenti o dei lager nazisti, in un periodo drammatico della storia italiana, l’opportunità di trovarsi dalla parte giusta, vogliono festeggiare questa condizione, facciano pure la loro festa, ma non la confondano con la giornata della liberazione. Se ciò accadesse si comincerebbe quella pacificazione che sarebbe tanto piaciuta al mio papà, che il 25 Aprile doveva sopportare la sua condizione di reduce, di ex combattente e nessuno ha mai voluto ricordare anche il contributo di queste persone alla lotta di liberazione.
 
Giuseppe Menardi

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