"Il problema non è l’etichetta. Anzi, è giusto rendere obbligatoria sulla confezione dei prodotti caseari a latte crudo l’indicazione del potenziale rischio per la salute che il loro consumo può comportare per i bambini e i soggetti immunodepressi. Il problema è la demonizzazione di un’intera categoria di produttori, che non ha nulla da nascondere e che lavora con il massimo rispetto delle garanzie di sicurezza alimentare. In Francia, il bollino di “prodotto a latte crudo” è considerato un vanto, un plus, perché riconosce il valore specifico di una produzione unica e altamente qualificata. Da noi, il “bollino” rischia di essere considerato un’infamia e questo non va assolutamente bene. Il “bollino” deve avere, invece, una duplice valenza: da un lato richiamare l’attenzione sulle caratteristiche specifiche del prodotto, dall’altro certificarne il valore aggiunto che lo distingue dagli altri".
Così il tecnologo Sandro Gallina, tra i maggiori esperti nel campo delle arti casearie, commenta la proposta di legge che mira a introdurre l'obbligo di etichettatura per i prodotti caseari a latte crudo. Un tema sul quale il presidente provinciale di Cia Agricoltori Cuneo, Claudio Conterno, invita a riflettere per evitare ingiustificati allarmismi e, ancor di più, scongiurare possibili e devastanti ripercussioni soprattutto sul popolo dei piccoli produttori caseari: "Nella sola zona tra Cuneo e Torino - osserva Conterno - esistono oltre duecento caseifici agricoli, che rappresentano un inestimabile patrimonio di arte casearia, tramandata da generazioni e di alto livello qualitativo. Un mondo che andrebbe valorizzato e che invece rischia di essere messo fuori gioco da assurde campagne di disinformazione, senza tener conto della reale proporzione dei fatti, perché va bene far presente ciò a cui possono andare incontro determinate categorie di persone, quando consumano determinati prodotti, nello specifico a latte crudo, come molti altri, dopo di che, far credere che le tome delle nostre tradizioni, come pure il Castelmagno e gli altri formaggi non pastorizzati siano da considerare un attentato alla salute, è pura follia. Vorrebbe dire arrendersi alla standardizzazione industriale dei prodotti, abbandonare al loro destino tutti quei piccoli produttori che hanno fatto la storia della nostra produzione casearia più caratteristica e originale".
Sul piano tecnico, è ancora Gallina a parlare: "Oggi non esiste più un caseificio che lavori male - rileva Gallina -, sono tutti super controllati e ancora di più lo sono proprio quelli che lavorano il latte crudo, perché in questo caso vengono sottoposti al doppio dei controlli da parte delle autorità sanitarie. Nessuno più di chi conosce il proprio latte, sa come lavorarlo, assumendosene la responsabilità. Dopo una stagionatura di novanta giorni, la presenza batterica è quasi completamente assente. Diversamente, il prodotto è comunque garantito dal rigoroso rispetto delle norme di sicurezza alimentare, che in Italia sono le più severe al mondo".
C’è ancora un aspetto, tutt’altro che secondario, che Gallina invita a considerare: "Attenzione - avverte Gallina - a credere, per contro, che i prodotti pastorizzati siano più “puliti” e più “sicuri” di quelli a latte crudo, perché non è così. Se è vero che la cottura elimina tutti i batteri nel latte, la contaminazione può avvenire comunque nei successivi passaggi della lavorazione, se non vengono eseguiti correttamente, dalla produzione, al confezionamento, alla messa in vendita, con rischi addirittura maggiori, perché in questi casi i batteri patogeni che venissero a contatto con il formaggio sterilizzato non incontrerebbero resistenza, mentre nei formaggi a latte crudo avrebbero più difficoltà a riprodursi per l’azione della naturale carica batteria antagonista contenuta in quei prodotti. Questo per dire che nessun formaggio può dirsi esente da contaminazioni. Non si cada nell’equivoco, talvolta indotto, di far diventare cattive le pecore e buoni i lupi".