I tartufi scarseggiano, complice anche la pioggia insufficiente, e la concorrenza tra i raccoglitori diventa sempre più accanita. In queste ultime settimane si è sentito parlare molto dei casi di avvelenamento dei cani addestrati per la ricerca del pregiato tubero. Dal Lazio al Piemonte, Dall’Abruzzo alla Toscana, il fenomeno ha interessato tutti i luoghi noti per i tartufi nella penisola italiana. In generale, i prezzi dei tartufi variano da un minimo di 100 euro al chilogrammo per il tartufo nero estivo fino ai 3/4 mila euro al chilogrammo per il tartufo bianco pregiato. Questa soglia non è fissa, ma subisce numerose oscillazioni durante la stagione di raccolta. In un anno medio la lamellata di tartufo al ristorante, che corrisponde a circa 8-10 grammi, costava circa 25 euro, nel 2021 il prezzo oscillava tra i 30 e i 35 euro, recentemente il prezzo ha toccato i 40-50 euro, il doppio circa rispetto alla media. Il prezzo è salito perché i tempi in cui i tartufi abbondavano sono ormai passati. Negli anni Novanta i raccoglitori trovavano 6-7 chili di tartufo a settimana mentre oggi arrivano a circa un chilo. Questo declino è da imputare anche al cambiamento climatico.
Secondo Antonio Degiacomi, presidente del Centro Nazionale Studi Tartufi di Alba, “quest’ultimo aspetto potrebbe acuire e incattivire la concorrenza. Sarebbe bene salvaguardare gli alberi esistenti e piantarne di nuovi, come stanno cercando di fare i bandi regionali e le iniziative locali”. A causa della conseguente concorrenza sono aumentati esponenzialmente i bocconi avvelenati sparsi nei boschi. Per ora non ci sono certezze su chi sia a spargerli, c’è chi accusa gli altri cercatori di tartufi e chi, al contrario, sostiene che sia impossibile che si tratti di qualcuno del settore.
I bocconi avvelenati sono nascosti nel cibo e spesso contengono lumachicidi, cioè veleno per lumache con un composto chimico chiamato metaldeide, che agisce sul sistema nervoso centrale dei cani, causando convulsioni e forti tremori. Oltre alla metaldeide sono molto diffusi anche antigelo, topicidi, stricnina, chiodi o frammenti di vetro che lacerano i tessuti interni. Per far fronte a questo fenomeno i tartufai spesso dotano i propri cani di museruole per evitare che mangino ciò che trovano oppure un morso che impedisce di ingoiare bocconi di grandi o medie dimensioni senza che il padrone la controlli prima.
In realtà gli avvenimenti recenti non sono esclusivi di questo periodo, basta fare una rapida ricerca su Google per trovare articoli che già cinque anni fa portavano alla luce questo problema. Secondo Antonio Degiacomi “sono sempre avvenuti” e i motivi sono molteplici: “In parte gli avvelenamenti accadono casualmente con i topicidi, a causa di esche disposte contro i selvatici o per l’acqua inquinata dai diserbanti, in parte come frutto perverso di rivalità o dispetti tra trifolao”.
Il presidente Degiacomi sostiene che i dati raccolti dai Carabinieri forestali e dalle associazioni dei tartufai nelle nostre zone presentano una situazione migliore rispetto agli anni passati: “Ci sono stati fortunatamente episodi non diffusi e caso mai in calo in tempi recenti. Nel 2022 su 78 ispezioni ci sono stati 7 ritrovamenti di esche a volte destinate alla fauna selvatica, volpi, lupi, rapaci”. Degiacomi sostiene che dalla lettura dei giornali quello dell’avvelenamento dei bocconi sembra un fenomeno dilagante e, secondo lui, è la diretta conseguenza di alcuni episodi in Italia centrale a cui ha dato “particolare evidenza il New York Times”, poi ripreso da tutti i giornali italiani.
Gli avvelenamenti comunque esistono e fondamentale è l’apporto di ognuno per contrastare il fenomeno. Antonio Degiacomi sottolinea l’importanza delle segnalazioni, che dovrebbero essere “il più circostanziate possibili”, in modo da attivare i controlli dei “Carabinieri forestali che intervengono con tempestività e che svolgono anche ispezioni preventive”, bonificando le aree grazie ai cani antiveleno, addestrati per trovare le esche e le carcasse sospette.
Il presidente ricorda che “questi comportamenti non hanno solo come conseguenza delle sanzioni amministrative, ma hanno anche conseguenze penali”, contenute nell’articolo 544 bis che prevede la reclusione da quattro mesi a due anni a chi per crudeltà o senza necessità apparenti causa la morte di un animale. Degiacomi raccomanda l’uso di museruole se in una determinata zona si manifesta il fenomeno e può essere vitale conoscere i sintomi dell’avvelenamento. Nel caso si ingerisca un boccone con stricnina i sintomi possono comparire anche in pochissimi minuti, prevalgono contrazioni muscolari e rigidità associati a crisi convulsive. In questi casi è fondamentale rivolgersi tempestivamente a un veterinario. Ogni minuto in queste situazioni è fondamentale e, se si è certi che il cane abbia ingerito un boccone avvelenato ma non presenta ancora i sintomi, bisogna comunque agire immediatamente.
“Un contributo importante viene da un dato culturale, - aggiunge Degiacomi - il cane da tartufi, infatti, sempre di più non è considerato uno strumento di lavoro, ma un compagno e un amico” e, anche per questo, è importante che sia tutelato.
Gli ultimi dati disponibili, realizzati da Italambiente e presentati dall’Associazione Italiana Difesa Animali ed Ambiente (Aidaa), sono relativi al 2022 e raffigurano una situazione drammatica. A inizio 2022 le morti per avvelenamento dei cani erano leggermente calate, ma alla discesa è seguito un incremento superiore del 30% se confrontato allo spesso periodo nell’anno precedente. Lo scorso anno sono stati avvelenati oltre 46 mila cani e, di questi, 2700 sono morti. In generale, si è registrato un notevole aumento dei cani da caccia e da tartufo tra gli avvelenamenti: 1200 i cani da caccia e 400 i secondi, molti dei quali sono morti. Gli avvelenamenti sono avvenuti in particolare nelle Marche, in Umbria e in Toscana.
Il Piemonte quindi, secondo il report, lo scorso anno non si trovava tra le regioni peggiori. Ciò che è certo è che sia in atto “una vera e propria battaglia tra trifulau”, scrive Piemonte Tartufi: “A rimetterci sono i poveri cani, cani preziosi, addestrati per anni a scovare il tartufo che, se non vale quanto l’oro, ci si avvicina, specie in certe annate. Molto spesso non ci rimettono solo i cani da tartufo, ma anche altri cani che accidentalmente passavano in quel bosco o vicino a una determinata pianta”.