Riceviamo e pubblichiamo.
Egregio direttore,
l’allarme delle PMI di ispirazione cattolica: “Di fronte a una seconda ondata più estesa, aggressiva e massiccia della prima, i DL cura Italia e Liquidità di aprile-giugno sono oramai superati, le Banche devono essere messe in condizione di operare con strumenti istituzionali più robusti che permettano di smobilizzare più risorse a favore dell’economia domestica e aziendale”.
“Altra lacuna gravissima, non avere utilizzato i passati mesi per una riforma legislativa che introducesse in via definitiva come obbligatoria l’educazione finanziaria nelle scuole, al servizio degli studenti e delle loro famiglie che avrebbero potuto beneficiarne collettivamente con la didattica a distanza”.
Il “decreto Ristori”, non si capisce bene perché il Governo Conte lo abbia battezzato così: forse per far intendere o credere una sorta di vicinanza o assonanza semantica alla categoria dei ristoratori messa in ginocchio dal covid-19 e dai provvedimenti del primo e dell’attuale secondo lockdown?
Perché più che di un “ristoro”, il settore ricettivo, che rappresenta un quarto del PIL nazionale, con medie più alte in molte aree del NordOvest, ha urgente bisogno di un “risarcimento”, che è cosa e concetto ben diverso. Ristoro è pensare in maniera assurda di risollevare con pochi miliardi un insieme di attività, la grande maggioranza delle quali a conduzione familiare, che perderà 40 miliardi entro la fine di quest’anno e che avrebbe bisogno di un risarcimento complessivo conseguente. Più chiaro di così.
E la si faccia finita, una volta per tutte, con la ridicola filastrocca di fonte governativa delle sacche di evasione: fra scontrini e fatture elettroniche, Isa e studi di settore, accertamenti induttivi e deduttivi di ogni genere, integrazione con le leggi in materia di pubblica sicurezza, igiene e sanità, se vi è un ambito dove tutti gli incassi e i corrispettivi sono ormai tracciati, è proprio quello dei cosiddetti “pubblici esercizi”.
Insomma, nel campo veramente sfidante delle politiche economiche e per il sostegno alle attività aziendali, la sensazione è che palazzo Chigi sia un fortino asserragliato che prende la mira con armi più che spuntate: non è pensabile affrontare con gli stessi provvedimenti di marzo e aprile-giugno – DL cura Italia e Liquidità – una pandemia la cui seconda ondata si è fin da subito, in ottobre, presentata come esponenzialmente più aggressiva, virulenta ed estesa della prima.
Per esempio: perché Conte, in questa fase più che emergenziale, ha totalmente dimenticato il settore bancario, il solo che, fra moratorie e proroghe di vecchi prestiti ed erogazione di nuovi crediti, abbia immesso liquidità nel sistema produttivo e domestico per centinaia di miliardi in pochi mesi?
Perché il Governo non fa proprie le raccomandazioni venute dai nostri più autorevoli rappresentanti dell’economia creditizia in Italia e in Europa – dai Presidenti Antonio Patuelli (ABI) e Francesco Profumo (ACRI) al Prof. Beppe Ghisolfi alto esponente nei Gruppi europeo e mondiale delle Casse di Risparmio – a proposito di una serie di allarmi fra cui una tassazione onnivora a danno delle Fondazioni Bancarie e una normativa nazionale ed europea devastante per quel che riguarda le nozioni legislative di crediti deteriorati e, dal prossimo primo gennaio, di “default” approvata dal Parlamento Europeo?
Come mai, nei decreti varati dallo scorso marzo in avanti, per un totale stanziato e impegnato di circa 100 miliardi di euro – sebbene l’economista Carlo Cottarelli abbia tuttavia ricordato che la BCE aveva messo a disposizione del nostro Paese prestiti di fatto perpetui per ben oltre 200 miliardi di euro da attingere lungo il 2020 (Conte, Gualtieri e Patuanelli di nuovo clamorosamente assenti) –; ebbene, come mai, sul totale, appena 7 miliardi sono stati dedicati all’integrazione del fondo di garanzia per le Aziende MPMI presso il Mediocredito centrale?
Ivano Tonoli
Alessandro Zorgniotti
Unione Cattolica – Confederazione Confedes