Un Natale senza neve e preceduto da giornate soleggiate con temperature che sembrano primaverili. Le conseguenze dell’aumento dei gradi, della siccità sempre più diffusa e delle precipitazioni scarse sono ben visibili se si analizza la situazione dei ghiacciai. Tutti gli anni il Comitato Glaciologico Italiano (CGI) monitora dal 1911 (con una pausa solo in alcuni anni durante la guerra) le variazioni glaciali, in particolare quelle frontali e le presenta nel documento “Campagna glaciologica annuale dei ghiacciai italiani” pubblicato pochi giorni fa e riferito allo scorso anno. Grazie al lavoro svolto in collaborazione tra il CGI, parco nazionale Gran Paradiso, Arpa, società meteorologica italiana, Università e Politecnico di Torino, è possibile quindi avere un quadro preciso dell’evoluzione dei ghiacciai negli anni.
Nel 2022, circa 250 operatori hanno visitato 203 ghiacciai nei tre settori delle Alpi italiane: piemontese-valdostano, lombardo e triveneto, oltre all’unico ghiacciaio appenninico, situato nel gruppo del Gran Sasso. La campagna è stata condotta anche in due zone delle montagne cuneesi: il Clapièr sulle Alpi Marittime e il Vallanta sulle Alpi Cozie. In particolare, nel settore piemontese la visita ha riguardato 118 ghiacciai, di cui 60 oggetto di misurazioni di variazione frontale.
La situazione generale che è emersa dalle analisi è drammatica: il 98% dei ghiacciai è in ritiro, il 2% è stazionario e nemmeno uno sta crescendo. Questo fenomeno è il risultato del cambiamento climatico, in particolare, si legge nel report, “l’annata 2021/2022 è stata contrassegnata dalla drammatica combinazione di una stagione invernale avara di precipitazioni e di un’estate straordinaria per durata e intensità del caldo, nel nord Italia ha eguagliato (e in alcuni casi superato) la torrida estate 2003: a livello nazionale, il 2022 è stato l’anno più caldo e siccitoso in oltre 200 anni di misure”. Il risultato è stato disastroso su tutte le catene montuose italiane. I ghiacciai delle Alpi occidentali sono “provati da oltre trent’anni di condizioni climatiche avverse, testimoniate dai valori record di perdita di massa glaciale e di arretramento frontale”.
I dati confermano un fenomeno in atto da tempo: la deglaciazione. Gli operatori hanno documentato in numerosi casi che si sta verificando una riduzione di area e spessore della massa glaciale, che può portare alla frammentazione in corpi separati. In particolare, nel Cuneese sono state analizzate due situazioni, la prima è quella del Clapièr – Maledia (appartenente al gruppo del Gelas, nelle Alpi Marittime a 3.045 metri s.l.m.). Le condizioni climatiche fuori dalla norma hanno causato l’affioramento di numerose masse di ghiaccio sepolto. L’operatore durante controllo di settembre dello scorso anno ha evidenziato che “il ghiacciaio è privo di copertura nevosa” e ricoperto da detriti. Il corpo glaciale si estende da quota 2.825 metri s.l.m. a 2.630 m s.l.m. Per quanto riguarda il settore frontale si sono verificate riduzioni dello spessore pari a venticinque metri in meno rispetto al 1991, di cui dieci metri in meno rispetto al 2010, pari circa a 0,80 metri ogni anno. Peggiore la situazione nella parte sommitale del ghiacciaio: trenta metri in meno rispetto al 1991, di cui quindici dal 2010 a oggi, pari a un metro in meno sull’intero periodo e 1,25 metri in meno ogni anno se si prende in considerazione il periodo più recente.
La seconda situazione analizzata nel Cuneese, dopo quella del Clapièr, riguarda il monte Vallanta (3.781 metri s.l.m.) situato nel gruppo del Monviso (Alpi Cozie). Il ghiacciaio descritto dall’operatore presenta una discontinua copertura di neve recente, che riveste parte della fronte glaciale. La parete rocciosa al momento dell’analisi è invece totalmente priva di neve residua. “Il ghiacciaio, [Sella n.d.r] collocato sul versante sud del Monviso, dove passa la via normale di salita alla punta, non è più riconoscibile, essendo il sito interamente occupato da detriti, mentre ancora nel 2016 era presente una modesta placca di ghiaccio che occupava una superficie di circa un ettaro”. Inoltre, presso il Bivacco Andreotti (a circa 3.000 metri) sono visibili tracce di ghiaccio sepolto.
Quella piemontese però non è una situazione fuori dalla norma, l’anno 2021-2022, infatti, è stato caratterizzato da bilanci di massa negativi su tutti i ghiacciai italiani monitorati. Non è solo il caldo estivo che ha portato a questa situazione, anche nella stagione invernale si sono registrati valori minimi a livello di accumulo di neve; infatti, l’intera stagione di accumulo è stata caratterizzata da precipitazioni particolarmente scarse e temperature sempre al di sopra della media stagionale.
Secondo il report, nella stagione autunnale l’anomalia di precipitazione è stata contenuta, al contrario quella invernale deve essere collocata tra le più siccitose e calde dell’ultimo secolo. A peggiorare il quadro generale è spesso intervenuto il vento, che ha eroso la poca neve caduta e l’ha redistribuita. Le precipitazioni nel 2022 sono poi riprese ad aprile, ma non sono bastate per compensare il forte deficit invernale. La fase di fusione dei ghiacciai lo scorso anno è iniziata precocemente, nel mese di maggio, con un anticipo di almeno un mese rispetto al solito. La situazione ha fatto sì che già nel mese di giugno fosse esaurita la neve invernale. Quindi, accumulo troppo scarso di massa nevosa nei mesi invernali e fusione estiva molto intensa hanno portato alla condizione di oggi. E, se non si interverrà in modo tempestivo ed efficace, il futuro non prevederà alcun segnale di miglioramento.