Non è uno sciopero come gli altri, assicurano i sindacati confederali, perché questa volta l’obiettivo è comune ai lavoratori e alle imprese: si tratta di rimettere in marcia la politica industriale in un settore, quello metalmeccanico, dove da troppo tempo si naviga a vista.
“Da anni si lascia fare tutto al mercato, oggi ci ritroviamo con un’enorme difficoltà in tutti i settori industriali. O qualcuno ci dice cosa faremo da grandi, o continueremo a fare del nostro meglio perdendo però capacità costruttive e manifatturiere” avverte il segretario provinciale della Fiom Cgil Davide Mollo. Per capire di cosa si parla, si consideri che in provincia di Cuneo il settore metalmeccanico conta 20mila lavoratori solo nelle aziende dove i sindacati hanno rappresentanza. Ma azzardare un computo complessivo è molto difficile, perché le microaziende artigiane valgono almeno altrettanto. In totale si possono stimare più di 50mila addetti, un terzo dei quali coinvolti nei comparti “pesanti”, come siderurgia, automotive, impiantistica.
Il grido di dolore della componentistica auto, in particolare, si leva alto nella Granda dove queste lavorazioni costituiscono da sempre un fiore all’occhiello dell’industria: “Da anni - dice Mollo - chiediamo al governo di prendere in mano la situazione come fa la Francia, ma l’unico momento in cui il governo si è trovato davanti a Tavares è stato quando li ha convocati lui”. Ancora più paradossale è il quadro della siderurgia, dove la crisi dell’ex Ilva interroga lo stabilimento oggi denominato Acciaierie d’Italia a Racconigi: dopo il Covid c’è sempre più bisogno di acciaio e l’Italia è il secondo produttore a livello europeo, eppure le commesse non partono. Anche l’impiantistica delle reti di telefonia e delle infrastrutture informatiche, dove Cuneo a suo tempo è stata pioniera con la Alpitel di Nucetto, vive una scissione. Da un lato c’è il Pnrr che ne ha fatto un perno del rilancio infrastrutturale, dall’altro una realtà in cui ad annaspare sono proprio gli operatori più affidabili: “Abbiamo speso un sacco di soldi ma oggi, grazie anche alla liberalizzazione con la legge Salvini sugli appalti al massimo ribasso, le aziende sono in enorme difficoltà. Gli appalti finiscono a imprese che agiscono su un mercato ‘grigio’ se non proprio nero, a scapito dei migliori”. Il Far West degli appalti, sostiene la Fiom, sarebbe tra l’altro all’origine dei continui rallentamenti sui lavori per il Tenda: “A forza di dare appalti e subappalti il lavoro non va avanti”.
Per tutti questi motivi i sindacati confederali hanno indetto uno sciopero nazionale di quattro ore che si terrà nelle giornate di venerdì 7 luglio in tutto il Nord e Centro Italia e il 10 luglio nelle regioni del Sud. Fiom, Fim e Uilm si sono dati appuntamento sotto alla sede di Confindustria Cuneo nell’ex Casa di Betania, per ricordare che tutti sono nella stessa barca: “Lo sciopero serve a dire che l’agenda del governo deve fare un passo avanti e mettere l’industria in cima” dice Roberto Lopreiato, segretario provinciale di Uilm Uil. Un concetto ripreso da Calogero Palma di Fim Cisl: “Abbiamo scelto di scioperare sotto Confindustria perché chiediamo agli imprenditori di fare insieme questo percorso. Non c’è antagonismo ma un obiettivo comune, il rilancio di questo Paese”. “La guerra - sottolinea Lopreiato - ha generato una frenesia nelle aziende metalmeccaniche. Succede soprattutto in territori come Cuneo, dove ci sono tante aziende di dimensioni familiari”. Là dove il sistema industriale riesce a reggere rispetto ai competitors europei, sempre più a fatica, lo fa grazie all’impegno delle imprese: “Ma non può essere la singola azienda, magari multinazionale, a ottenere fondi con la sua sola forza. Benché non se ne parli molto, ci sono una settantina di aziende che hanno depositato lo stato di crisi presso il ministero e attendono dal governo risposte che non arrivano”. “Per assurdo - aggiunge il segretario dei metalmeccanici Cisl - ci troviamo in una fase dove le aziende faticano a trovare manodopera specializzata, perché anche su questo siamo arretrati: non si è fatta formazione”.
Su un punto in particolare concordano tutti: “Non possiamo vivere di Colosseo e gondole”. La frase, pronunciata dal leader provinciale della Fiom, è riferita ai dati enunciati dalla premier Meloni riguardo alla crescita del Pil, che i sindacati ritengono troppo sbilanciata sul settore turistico: “Non ne facciamo una questione politica, il nostro settore vive da anni la mancanza di una politica industriale. La gente che lavora nelle fabbriche è più avanti di noi funzionari”.