Si continua a parlare di turismo nelle valli o per le valli. Ormai è un continuo urlare “Al lupo! Al lupo!” contro il turismo di massa (o comunque di numeri importanti) e i suoi devastanti effetti su territori e comunità. Si scopre l’acqua calda, viene da pensare, perché sull’argomento esiste ormai dagli anni Novanta una vasta letteratura. È un dato acquisito che il turismo di massa non si può applicare in territori fragili come la montagna. Che se ne siano accorti anche i langhetti ci fa molto piacere, ma lo hanno scoperto dopo aver in parte venduto la loro splendida terra al miglior offerente, fedeli alla filosofia del business is business.
Nelle valli cuneesi da più di trent’anni si è capito che il turismo di massa (nelle sue tante varianti) non è un modello da seguire: i palazzoni costruiti negli anni Sessanta e Settanta in alcune località turistiche sono lì oggi a testimoniare un errore da non ripetere. E, in effetti, non si è ripetuto.
Negli ultimi anni sono stati fatti, è vero, investimenti per creare sontuosi agriturismi in borgate abbandonate, in cui la filosofia ispiratrice è ancora una volta fare business con una fascia di clienti di alta gamma. Guarda caso, spesso chi realizza questi investimenti ha a che fare con le Langhe. Un modello, tuttavia, visto con diffidenza dai residenti in montagna e che non può portare sviluppo concreto e duraturo alle valli. Per rivitalizzare e consolidare le piccole comunità di montagna serve, come abbiamo già avuto modo di scrivere più volte, un turismo consapevole, aperto a tutti ma non di massa. Quei “tutti” devono essere consapevoli che una gita in val Maira non è una gita a Como o a Verona. Devono informarsi (e poter trovare informazioni adeguate) sui limiti oggettivi del territorio che andranno a visitare: viabilità, strutture alberghiere, tutele ambientali. Non si tratta di inserire il numero chiuso, ma di responsabilizzare i turisti: chi cerca la discoteca rumorosa, la folla, i servizi di un grande centro balneare non andrà in valle Maira ma andrà da un’altra parte. Non deve restare deluso se ad Acceglio non trova il parco divertimenti che troverebbe a Rimini.
Sarebbe bene, tuttavia, che gli amministratori (a tutti i livelli), invece di partecipare a mille dibattiti sul turismo, si adoperassero concretamente per attivare nelle valli quei servizi essenziali senza i quali le valli moriranno e che in ogni caso sono indispensabili anche per alimentare un turismo consapevole. Il turista che ama la montagna non vuole valli e montagne finte, pullulanti di relais per ricchi e di piccoli paesi agonizzanti. E non bastano certo i riconoscimenti o le classifiche per aiutare le valli: né Unesco, né Borghi più belli d’Italia, per intenderci. Se si vuole aiutare le valli, si deve ricordare che il turismo è soltanto uno degli strumenti per lo sviluppo. Se l’obiettivo è il benessere di chi ci vive, si deve pensare a creare presidi sanitari, scuole, negozi, strade adeguate e sicure (non certo autostrade e super parcheggi). I servizi, essenziali per i residenti, saranno anche preziosi per i turisti. Investire (a volte speculare) su borgate in rovina non è sufficiente, anzi può essere fuorviante. Si pensi alla vicina Provenza, che per due mesi d’estate apre porte e finestre, e per il resto dell’anno è una triste sfilata di negozi, porte, case, giardini chiusi.
Un auspicio di questo ultimo scorcio d’estate: meno tavole rotonde e dibattiti sul turismo e sulla montagna, meno proclami elettorali, più azioni concrete per i servizi essenziali nelle valli. Il turismo deve essere al servizio della gente di montagna e non viceversa.