CUNEO - L'opinione: un’opportunità da non buttare alle ortiche

Il regolamento, se rivisto con criterio, è lo strumento per riavvicinare i cittadini alla politica dopo l’astensionismo da record registrato alle ultime amministrative

Samuele Mattio 13/11/2022 08:07

Al cittadino disattento la discussione sulla revisione del regolamento dei Comitati di Quartiere (vedi articolo dedicato, n.d.r.) potrebbe sembrare una questione di secondo piano rispetto ad altre che parlano alla “pancia” dell’opinione pubblica, dalla sicurezza all’urbanistica. Eppure si tratta di un aspetto importante per la vita cuneese, in quanto rappresenta il momento in cui si decidono le regole della democrazia e della partecipazione. Tra le diverse proposte giunte dai Comitati si registra la richiesta di avere diritto di parola nelle Commissioni consiliari. Un’istanza, che vista l’annosità sta prendendo i crismi della supplica, ma che poggia su basi concrete.
 
All’articolo 67 lo Statuto parla chiaro: “Il Comune riconosce che la partecipazione popolare, anche di genere, per le scelte politiche e di programmazione generale e alle attività amministrative, è condizione essenziale allo sviluppo della vita sociale e democratica della comunità”. Ora, se è “condizione essenziale”, il diritto di dire la propria, per un tempo ragionevole, durante lo svolgimento dei lavori delle Commissioni dovrebbe essere, normata dal regolamento, diretta conseguenza del principio evidenziato, ma attualmente così non è. Tanto più alla luce del fatto che il presidente della Consulta dei Quartieri, Andrea Odello, ha sistematicamente sottolineato quanto l’articolo 12 del regolamento, che prevede la consultazione preventiva su diverse materie (bilanci, piano regolatore, viabilità opere, servizi, etc...), sia stato negli anni “completamente disatteso”. Difficile smentirlo.
 
E allora, se la funzione consultiva non viene di fatto praticata, quali “poteri” restano? L’attuale regolamento prevede che i Comitati abbiano anche un potere d’iniziativa, peccato che non siano sviscerate le specifiche modalità di esercizio. Certo, esistono gli strumenti previsti dallo Statuto e concretizzati dal regolamento di partecipazione popolare - istanze, petizioni e proposte -, ma non si discostano dai mezzi in dote a qualsiasi cittadino. Così come la legislazione sull’obbligo di pubblicazione dei provvedimenti comunali nella sezione “Amministrazione trasparente” ha largamente normalizzato i rapporti tra Comune e Comitati, appiattendoli a quelli con chiunque altro, salvo la nomina di un assessore delegato. Problemi concreti che vanno oltre la questione delle sedi, in quanto a distanza di dieci anni dall’approvazione del regolamento, alcuni gruppi ne sono sprovvisti.
 
Sulla base di tutto ciò la domanda sorge spontanea: a cosa servono i Comitati di Quartiere? La risposta è sfaccettata. È indubbio che l’attivismo di molti volontari abbia portato all’ottenimento di risultati concreti e di migliorie per le aree di riferimento. In alcuni casi l’azione di “pressione” nei confronti dell’assessore competente di turno o del sindaco hanno avuto esito positivo nel conseguire opere di miglioramento dei singoli quartieri, ma al di là dell’impegno fattivo degli amministratori nell’ascoltare suggerimenti e proposte è indubbio che manchino strumenti concreti per incidere. Insomma, in questi anni i quartieri sono stati e restano uno strumento importante per le segnalazioni di piccoli problemi, dalle inefficienze del sistema di illuminazione pubblica alle buche nelle strade. Rilevante anche il contributo nel indire le assemblee di quartiere che avvicinano i cittadini alla Giunta (vedi Cuneo Centro).
 
Detto questo è evidente che la revisione del regolamento è un’opportunità importante per dare ai Comitati gli strumenti concreti per incidere sulla vita cittadina, fermo restando le competenze determinate dalle legge di Sindaco, Giunta e Consiglio comunale. Non solo. Alla luce dell’elevato astensionismo registrato negli ultimi appuntamenti elettorali, amministrative comprese, rappresenta un’indubbia occasione per riavvicinare i cittadini alla politica. Le possibilità, in virtù dell’autonomia regolamentare dei Comuni, sono molteplici. Ad esempio molto si parla della disaffezione dei giovani alla vita amministrativa e allora perché non abbassare il limite di età, oggi fermo a 18 anni, a 16 anni? Peraltro lo Statuto lo consente. Oltre a questa modifica se ne potrebbero ipotizzare molte altre: si tratta di un’opportunità da non buttare alle ortiche.

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