“La resistenza al regime in Iran deve essere riconosciuta dalla comunità internazionale come legittima”.
Il presidente dell’associazione dei medici e dei farmacisti iraniani in Italia, Khosro Nikzat, è risoluto nell’indicare la strada che il mondo dovrebbe seguire per fermare le violenze nel Paese degli Arii. L’ondata di indignazione per la morte di Mahsa Amini, la 22enne iraniana picchiata dalla “polizia morale” perché non indossava correttamente il velo, è arrivata anche a Cuneo, tant’è che a inizio mese l’Anpi aveva organizzato un presidio in solidarietà con le donne che vivono sotto il regime di Teheran. Nell’occasione Nikzat era intervenuto per portare la sua testimonianza e ora, a distanza di qualche settimana, ha deciso di parlare per sensibilizzare le coscienze su ciò che sta avvenendo in Persia.
Dando per scontato che non tutti i nostri lettori conoscano la politica interna dell’Iran, andiamo per ordine. In Italia dal 1979, Nikzat, che di anni ne ha 64, è medico chirurgo all’ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo. Ha abbandonato l’Iran - per laurearsi in Medicina tra le Università di Chieti e Torino - a sei mesi dalla rivoluzione che trasformò la monarchia in una repubblica islamica sciita, la cui costituzione si ispira alla Shari’a, la legge coranica.
Mentre il Belpaese affrontava gli anni di piombo, in Iran la salita al potere dell’ayatollah Khomeini riunì forze di opposizione eterogenee, dai nazional-liberali ai marxisti. Tra coloro che erano affascinati dalla sua figura carismatica e popolare c’era anche Nizkat, all’epoca giovane studente che manifestava per le strade di Teheran: “Ai tempi dello Scià (Mohammad Reza Pahlavi n.d.r.) c’era una dittatura feroce - racconta -. Molti libri erano messi all’indice e il controllo sulla vita delle persone era totale, tant’è che ancora è oggi è famoso un proverbio persiano che recita: ‘Se ci sono tre persone, una di queste è spia dello Scià’”. “Khomeini parlava di democrazia e aveva illuso il popolo che con lui le cose sarebbero cambiate”, prosegue il medico.
Una volta preso il potere, il primo passaggio è stata la sospensione o la limitazione di molte libertà individuali (di culto, di stampa e di pensiero), ma anche il divieto di divorziare o di interrompere la gravidanza e l’istituzione della pena di morte per adulterio e bestemmia. L’evidenza più tangibile, e ancor oggi simbolica, è l’imposizione alle donne del velo islamico: “Ha disatteso tutto quello che aveva promesso”, spiega Nizkat.
Restrizioni che, semplificando, hanno portato alla nascita della resistenza. Oggi, dopo diversi tentativi di rivolta finiti nel sangue, l’organizzazione più attiva nell’opposizione al regime teocratico guidato dall’ayatollah Ali Khamenei è il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, coalizione fondata nel 1981 e legata al partito anti-teocratico dei Mojahedin del Popolo (Mek), guidata da Maryam Rajavi.
Una coalizione che a lungo è stata ostracizzata da parte della comunità internazionale (l’Ue la annoverava tra le organizzazioni terroristiche), ma negli ultimi tempi le cose sembrano cambiate. I leader sono in esilio tra Parigi e l’Albania, dove qualche migliaio di persone staziona a Manez, un villaggio a 30 chilometri da Tirana. Negli ultimi anni il Mek ha ottenuto il supporto di diversi esponenti politici internazionali, tra gli altri l’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, l’ambasciatore americano all’Onu John Bolton e la “nostra” Emma Bonino (è braidese di nascita n.d.r.) in veste di vice-presidente del Senato. Con l’ondata di proteste di piazza degli ultimi mesi, in Europa e nel mondo, sono aumentati i simpatizzanti. In particolare ha riscosso successo in Occidente il gesto di tagliarsi una ciocca di capelli contro il regime: ad unirsi al dissenso molti politici, ma anche diversi personaggi dello spettacolo.
“Oggi la gente ha capito che con questo regime non si può andare avanti - argomenta Nizkat, che ha molti parenti in terra di Persia, tra cui tre sorelle e un fratello -: eppure molti iraniani hanno paura di essere bollati come violenti terroristi nel sostenere la resistenza. È necessario che il mondo sostenga il Consiglio di Resistenza contro il regime”.
Tra chi vuole abbattere il regime dei Mullah c’è anche il primogenito dello Scià, Reza Ciro Pahlavi, che da anni rivendica il suo presunto diritto al trono: “Non guardiamo al passato - prosegue il chirurgo -: vogliamo una repubblica democratica. Il nostro obiettivo è un Paese che abbia come riferimento la Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite e non la Shari’a”. Altri obiettivi? “La sospensione degli esperimenti per il nucleare, ma anche l’abolizione della pena di morte”. Riguardo alle donne Nizkat ha le idee chiare: “La nostra bussola è la parità di genere, oggi in Iran una donna non può partecipare completamente alla vita sociale, per esempio non può fare il giudice, inoltre non può lasciare il marito né viaggiare da sola”.
In chiusura Nizkat commenta anche le parole dell’ayatollah, che ha bollato le proteste degli ultimi giorni - che hanno costretto il regime a diversi arresti, tra cui quello dell’italiana Alessia Piperno - come conseguenza della sobillazione effettuata da Usa e Israele per destabilizzare il governo di Teheran: “Lo escludo - chiosa -: dire che esista una regia americana è un modo per non ammettere che esista una resistenza iraniana”.