Ma che fine ha fatto la cronaca giudiziaria? Mai come in questi anni la giustizia è stata protagonista di dibattiti sui social, approfondimenti speciali, trasmissioni televisive. A ritmi ormai settimanali si succedono i ‘casi del momento’ che polarizzano l’opinione pubblica a seconda che il presunto autore del crimine sia straniero o italiano, militante di destra o di sinistra, suscitando appelli, denunce, chiamate in correità nei riguardi di tutti quelli che vengono identificati - è il caso di dirlo - con la ‘squadra avversaria’.
Beninteso, la spettacolarizzazione della giustizia non se la sono certo inventata nei salotti di Barbara d’Urso e Bruno Vespa. Il fatto è che ormai l’attenzione per la cronaca dura il tempo di un commento indignato. Le emozioni suscitate - per restare solo agli ultimissimi tempi - dall’inchiesta su Bibbiano, dall’assassinio del carabiniere Mario Cerciello Rega o dal tragico agguato a Luca Sacchi, sono già pronte a lasciare il passo alle prossime ondate di attenzione passeggera. Mentre il lavoro delle forze dell’ordine e dei magistrati prosegue, tutti i riflettori si spostano altrove. Con il risultato che quando dopo due, cinque o dieci anni arriva una verità definitiva sul famoso caso giudiziario che tanto divise il pubblico, questo ci sembra già lontano nel tempo quanto la vicenda di Girolimoni o l’omicidio Montesi.
“Nessuno ascolta più le udienze, nemmeno i cronisti” sintetizza il procuratore capo di Cuneo,
Onelio Dodero, nel suo intervento al
convegno su informazione e giustizia organizzato ieri (venerdì 8 novembre) al Campus universitario di Management ed Economia dall'Ordine dei Giornalisti del Piemonte, in collaborazione con l'Ordine Forense e la Camera Penale. Il capo della Procura ha stigmatizzato senza mezzi termini il fatto che
“il cuore pulsante dell’informazione è passato ormai dalle aule dei tribunali alle stanze delle procure e ai corridoi delle caserme”. Una tendenza che del resto dilaga ben al di là dei titoli di tg e giornali:
“Chi è bravo riesce talvolta a dare la notizia prima che il fatto accada: è successo quando un allora ministro di questa Repubblica diede notizia di un’operazione di polizia mentre era in corso”.
Dodero non lo ha specificato, ma il riferimento evidente è alla polemica sui tweet di Salvini, allora ministro dell’Interno, che anticipavano l’arresto di diversi mafiosi nigeriani a Torino. Il ‘contagio’ tra la cronaca nera e la cronaca giudiziaria, insomma, “sposta il baricentro dell’informazione dal processo alle indagini, in particolare alle primissime fasi delle indagini”: arresti, scarcerazioni e rinvii a giudizio conquistano le prime pagine, mentre delle ricostruzioni processuali e perfino delle sentenze si sente parlare a stento. Questo comporta anche due rischi concreti: da un lato che il flusso informativo divenga “tutto favorevole all’impostazione accusatoria, perché le uniche fonti per gli atti d’indagine sono le procure”, dall’altro che le sentenze assolutorie vengano vissute come ingiuste. Ecco perché “questo tipo di giornalismo sparge un germe pericolosissimo, la sfiducia nella giustizia”.
A conforto di questa tesi, l’avvocato Alberto De Sanctis, presidente dei penalisti del Piemonte occidentale, ha citato i dati di una ricerca sulla copertura giornalistica dei casi giudiziari: “Le tesi accusatorie appaiono sovrarappresentate rispetto a quelle difensive. Ciò che colpisce è che il 68% dei titoli è dedicato ad arresti e indagini preliminari: non si capisce perché ai giornalisti non interessi più il dibattimento”.
Ma il quadro è davvero così fosco? Non concorda del tutto il giudice Roberto Arata, presidente di sezione penale al Tribunale di Torino: “È vero che si tende a credere che tutto venga deciso nelle indagini preliminari, mentre accade proprio il contrario. Ma questo non deve indurre i magistrati a coltivare una nostalgia di segretezza: il controllo dell’opinione pubblica sull’operato dei giudici è essenziale alla democrazia”. Il problema “non sono le telecamere in aula, ma i processi ricostruiti nei salotti televisivi, con avvocati, magistrati e testimoni come ospiti, o le ‘docufiction’ che recitano intercettazioni e pezzi di verbali”.
Un sensazionalismo alimentato da entrambi i lati, ha ammonito il presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte Alberto Sinigaglia: “Molti colleghi vengono pressati da magistrati che vogliono fare carriera, o da avvocati che avanzano richieste e pretese in cambio delle loro segnalazioni”. Su ciò si innesta la scarsa formazione giuridica in un settore, quello dell’informazione, che sperimenta tagli di personale, prepensionamenti selvaggi e una riduzione continua di collaboratori: “Troppi giornalisti non raggiungono uno stipendio che gli consenta di vivere del loro lavoro. In queste condizioni non si può fare informazione”.