“Molti medici stanno smettendo di veder l’ospedale come un bel posto dove lavorare e passare gran parte del tempo. Nonostante abbiano iniziato la professione con passione ed entusiasmo, sopportato nel corso degli anni sacrifici e rinunce, in molti si stanno disinnamorando del lavoro. E questo deve preoccupare tutti”. Si apre così il rapporto pubblicato dal sindacato delle professioni sanitarie Anaao Assomed Piemonte sul suo sito internet.
A parlare in maniera chiara, e a restituire l’immagine di una situazione allarmante, sono i dati presentati nello studio. Nel 2022 in Piemonte ben 332 medici ospedalieri si sono licenziati volontariamente per cambiare lavoro: rappresentano il 4% dei medici ospedalieri della Regione. Questo dato è al netto dei pensionamenti e delle dimissioni rassegnate per poi però rientrare nel Sistema Sanitario pubblico ma in un’altra Asl. I numeri sono sovrapponibili a quelli del 2021, quando si erano dimessi 331 medici ospedalieri, il 27% in più del 2020. “Se nel 2021 avevamo giustificato l’incremento attribuendolo a un possibile scivolamento al 2021 di coloro che avevano programmato le dimissioni nel 2020 e poi erano rimasti in servizio per aiutare a gestire l’emergenza Covid, ora non è più così. I numeri sono alti, sempre e costantemente alti. Quasi un medico al giorno in Piemonte sceglie di licenziarsi”, scrive il sindacato.
Di questi 332 medici, 40 si sono dimessi per andare a lavorare nella medicina convenzionata: 10 sono pediatri che hanno scelto di lavorare come pediatri di libera scelta, 10 hanno optato per la medicina di famiglia e 18 sono diventati specialisti ambulatoriali. Questo dato è in crescita negli anni: erano 35 nel 2021, 22 nel 2020 e 23 nel 2019. Gli altri 292 professionisti hanno optato per la libera professione con partita IVA, per il lavoro in ambulatori convenzionati o negli ospedali privati. “Il lavoro a partita IVA e negli ambulatori convenzionati consente certamente una maggiore autonomia e flessibilità di orario rispetto alla dipendenza nel SSN, oltre alla possibilità di un trattamento fiscale agevolato del reddito prodotto”, commentano dal sindacato.
A abbandonare gli ospedali sono soprattutto le donne. Si legge ancora nel rapporto: “Tra quanti scelgono di abbandonare il servizio sanitario regionale per il privato o per la medicina convenzionata si riscontra una prevalenza del genere femminile: sul totale dei medici che si sono trasferiti al privato il 53% è donna, mentre tra quanti sono passati al convenzionato le donne rappresentano il 67,5%. Questo dato è confermato anche dalle analisi svolte per gli anni passati. È probabile che su questa scelta giochi un ruolo la mancanza di turni, la diminuzione delle reperibilità notturne e festive e gli orari più flessibili, che meglio si conciliano con la gestione degli impegni familiari".
Anaao Assomed ha anche analizzato i dati scendendo nel dettaglio di ogni singola azienda sanitaria del Piemonte. L’Asl CN1 nel 2022 ha visto le dimissioni di 17 medici su un totale di 522 (il 3,3%). Nell’Asl CN2 il dato raggiunge il 4% con le dimissioni di 11 medici su un totale di 278. Ancora superiore la percentuale dell’azienda ospedaliera “Santa Croce e Carle” di Cuneo: nel 2022 l’hanno abbandonata 20 medici su un totale di 437, il 4,6%. A presentare la situazione più critica è la provincia di Alessandria: 29 le dimissioni dall’azienda ospedaliera, 31 dalla Asl, per percentuali sul totale rispettivamente del 7,6 e del 7%.
Ma quali sono gli specialisti che più di altri scelgono di lasciare il sistema sanitario pubblico regionale? Nel 2022 la maggioranza dei medici che si sono dimessi volontariamente sono stati gli specialisti in Anestesia e Rianimazione, disciplina che già gli scorsi anni cedeva numerosi medici al privato: sono stati 35 nel 2022, erano 30 nel 2021, 31 nel 2020 e 32 nel 2019. Seguono Psichiatria e Medicina e Chirurgia d’Accettazione e Urgenza: “Anche quest’ultima è una delle specialità che da anni conta un numero elevato di fughe”, spiegano dal sindacato. Prosegue la relazione: “Se è oramai ben nota la scarsa attrattività dell’Emergenza–Urgenza, perché area molto disagiata e con numerosi turni notturni e festivi, colpisce invece il numero degli psichiatri che decidono di dimettersi dal posto di lavoro: sicuramente gli organici ridotti e l’incremento del carico di lavoro dopo la pandemia Covid, per il preoccupante aumento delle diagnosi psichiatriche, hanno inciso sui numeri della fuga”.
“Le dimissioni volontarie determinano un perverso circolo vizioso: organici ridotti causano aumenti tali del carico di lavoro che i colleghi decidono di licenziarsi, peggiorando ulteriormente gli organici”, commenta Chiara Rivetti, segretaria regionale del sindacato Anaao Assomed: “Quando come sindacato chiediamo di assumere, ci viene risposto che non si trovano specialisti, e che i concorsi vanno deserti. Ma sarebbe già un gran traguardo per la sanità regionale riuscire a trattenere nel sistema i propri dipendenti. Cercare di rendere loro il lavoro meno usurante, valorizzarli, investire nella loro formazione, coinvolgerli nelle scelte. Invece, accanto agli stipendi meno pagati d’Europa, abbiamo un lavoro che obbliga a sacrificare la vita privata, che mortifica le ambizioni di carriera e di realizzazione professionale. Il clima lavorativo negli anni si è rovinato, il tanto odiato carico di lavoro burocratico è ulteriormente peggiorato, le aggressioni da parte dei pazienti sono in aumento, come anche le denunce. I medici devono gestire con equipe ridotte negli ultimi anni mediamente del 20-30% uguali carichi di lavoro di prima, senza contare l’obiettivo di smaltire le eterne liste d’attesa. Una dottoressa che ha deciso di lasciare ha descritto la sua situazione come quella di un criceto nella ruota: vai avanti fino all’esaurimento, senza accorgerti. Solo quando sei fuori riesci a vedere lucidamente quanto pesante e frustrante fosse il tuo lavoro. Chi può, dice basta. E cerca le vie di fuga. Ma se a livello individuale i licenziamenti sono assolutamente comprensibili, in un’ottica di sistema, è a rischio la tenuta del SSN. È necessario che queste scelte individuali diventino una protesta collettiva. Che le voci singole si uniscano in un’unica e potente richiesta di cambiamento”.