Riceviamo e pubblichiamo:
Si parla spesso di precarietà nel mondo della scuola, di concorsi che avvengono raramente, di mancanza di “merito” (sic!). Tanto che il PNRR ha previsto nuovi concorsi per stabilizzare gli insegnanti precari e inserirne di nuovi a tempo indeterminato. La scorsa settimana si è svolta la prova scritta del primo di questi tre concorsi per diventare docenti di ruolo. Fin qui tutto bene, direte voi. Evviva, urrà, finalmente!
Però. C’è un però, grande come un palazzo di 70.000 piani (tanti quanti gli insegnanti che secondo le previsioni del Ministero dovrebbero essere immessi in ruolo nell’arco di un biennio).
Qualche concorso nella scuola, di recente, c’era già stato (l’ultimo è del 2020). Concorsi che avevano prodotto delle graduatorie (l’ultima è del 2023, l’anno scorso). Graduatorie di merito (termine caro al Ministro dell’Istruzione “e del Merito”, Giuseppe Valditara). E queste graduatorie, come in molti concorsi della pubblica amministrazione, sono a scorrimento, cioè man mano che si liberano dei posti (pensionamenti, trasferimenti), l’elenco scorre e chi è al suo interno sa che prima o poi toccherà a lei/lui. O almeno così si crede, si spera, in fondo è sempre stato così.
Invece no. I vincitori di questi nuovi concorsi PNRR (su cui molto ci sarebbe da dire: non sono abilitanti e per l’abilitazione c’è bisogno di fare altri corsi, spendere altri soldi, ecc.) avranno la precedenza assoluta nelle assunzioni rispetto a chi già ha sostenuto la medesima prova (sempre con i parametri europei) ed è attualmente in graduatoria. Chi lo scorso anno aveva superato il concorso, dedicando mesi di studio e sacrifici personali, famigliari, economici, si vedrà scavalcato da chi supererà i concorsi ora. Della serie, “divide et impera”. Intendiamoci: è giusto bandire concorsi per dare la possibilità a docenti, giovani e meno giovani, di entrare nella scuola, stabilizzarsi, ottenere l’agognato ruolo. Ma sarebbe stato più opportuno valutare attentamente, caso per caso, per quali classi di concorso aveva senso bandire la procedura concorsuale e per quali no. O quantomeno gestire un doppio canale di reclutamento: chi entra tramite nuovi concorsi e chi entra scorrendo le graduatorie già in essere, anziché metterle nel congelatore per chissà quanto tempo.
Qualcuno, furbescamente, potrebbe suggerire: “E che problema c’è, riprova a dare il concorso” (cosa peraltro che alcune e alcuni stanno facendo). Chi fa questa proposta accetta la logica dell’assenza di logica, della mancanza di rispetto delle regole, del “vuolsì così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare”.
Invece, per fortuna, c’è chi non ci sta e le mobilitazioni si stanno moltiplicando in tutta Italia. Una cosa è certa: se si facesse un concorso per valutare l’idoneità a ricoprire ruoli di governo, questo Ministero verrebbe bocciato. Con demerito.
Alessio Giaccone, insegnante precario, idoneo concorso ordinario 2020