CUNEO - La rivoluzione dell’idrogeno: “Per l’Europa è una luce in fondo al tunnel della dipendenza energetica”

Pesano i costi ancora elevati e le incertezze sulla tecnologia, ma la strada verso un mercato continentale è tracciata. L’Italia (e il Piemonte) sono all’avanguardia

Andrea Cascioli 31/03/2024 12:30

I punti interrogativi sono ancora molti, ma è ormai evidente che l’idrogeno sia destinato ad avere un ruolo di primo piano - in un prossimo futuro - come risorsa per la mobilità e l’energia. In primis nel Vecchio Continente, che sulle molecole pulite ha scommesso molto: “L’Europa ospita il 30% degli investimenti globali e al momento si posiziona come leader nello sviluppo di soluzioni a base idrogeno” ha ricordato Stefano Terzaghi, policy adviser Energy and Climate nella delegazione di Confindustria presso l’Ue, nel corso del convegno sul tema ospitato da Confindustria Cuneo pochi giorni fa.
 
Serve una strategia industriale, che la Commissione Ue ha presentato nelle scorse settimane approvando fino a 6,9 miliardi di finanziamenti alle infrastrutture da parte degli Stati membri. L’obiettivo è preparare piani di sviluppo decennali delle reti dell’idrogeno, per lo sviluppo di un futuro mercato che al momento non esiste: “Il punto cruciale è la divisione tra la rete del gas e dell’idrogeno” aggiunge Terzaghi, per il quale “la banca europea per l’idrogeno è emersa come strumento chiave nella transizione verso l’idrogeno rinnovabile, insieme ad altri strumenti già esistenti”.
 
Quando si parla di idrogeno, però, bisogna intendersi anche sul “colore”. Oggi esiste un idrogeno grigio che viene prodotto “strappandolo” al combustibile fossile, quindi comporta ancora una produzione (pur marginale) di CO2. L’idrogeno blu viene invece estratto catturando l’anidride carbonica dei combustibili fossili. Poi c’è quello verde prodotto tramite elettrolisi dell’acqua (il cosiddetto splitting: è pulito, ma necessita di energia) e infine l’idrogeno viola, al momento non esistente sul mercato, ottenuto dalle centrali nucleari e riconosciuto come fonte al 100% priva di gas serra.
 
“Il problema è il costo” spiega il professor Fabrizio Candido Pirri, docente al DISAT (Department of Applied Science and Technology) del Politecnico di Torino. L’idrogeno è già utilizzato in varie applicazioni non energetiche (raffinerie, produzione di ammoniaca, siderurgia), ma mentre strappare idrogeno all’energia fossile costa circa 1 euro al kg, ottenerne uno “pulito” è molto più caro: “Fra i 3 e i 5 euro, a seconda di quanto costa l’energia rinnovabile prodotta”. Almeno quattro volte di più rispetto alla produzione da energia fossile, in ogni caso. Va precisato, peraltro, che “produrre idrogeno per impieghi industriali costa il 2,2% della CO2 immessa in ambiente, quindi ha tutto sommato un impatto risibile”. “A spingerci a questo - chiarisce il professore - deve essere il fatto che l’Europa di energia non ne ha: l’idrogeno è una luce alla fine del tunnel della dipendenza energetica, che oggi è qualcosa di drammatico per il continente”.
 
Sarebbe un bene per l’Europa e anche per il pianeta, dal momento che “utilizzare l’idrogeno nel ciclo di energia e mobilità consentirebbe di abbattere del 20% le emissioni globali di carbonio”. Cosa frena questo passo nei Paesi sviluppati? “È soprattutto il timore che le tecnologie viaggino così velocemente da essere superate dopo l’investimento. Il secondo rallentamento dipende dal fatto che non è chiaro il modello di business: l’idrogeno per la mobilità oggi si usa ma in modo molto limitato. Terzo fattore è l’elevato costo dell’idrogeno, legato al costo dell’energia e degli impianti: la loro penetrazione nel mercato è ancora piccola. Ma se l’idrogeno entra prepotentemente nel mercato, il costo crollerà”.
 
L’Italia ha una grande opportunità, dettata dalla sua collocazione geografica: “Si trova sul corridoio sud dell’idrogeno, in un continente che non ha spazi paragonabili al Nord Africa per l’installazione di impianti. Ci sono circa 40mila chilometri di linee di distribuzione gas compatibili con l’idrogeno, che possono correre dal canale di Sicilia al Nord Europa: l’Italia potrebbe diventare il grande hub dell’idrogeno. Un centinaio di giacimenti esausti di metano potrebbero essere utilizzati per stoccare i quantitativi di idrogeno in eccesso e poi venderli”. Anche rispetto ai possibili concorrenti, la penisola ha molte carte da giocare: “La Spagna è il nostro grande competitor per questo modello, ma la linea del gas lì dev’essere costruita. Anche la Norvegia non ha pipelines che la colleghino al centro Europa: l’Italia le ha già e potrebbe approfittarne”.
 
L’idrogeno può diventare anche “il modello con cui produrremo i nuovi chemicals che oggi provengono tutti dall’idrocarburo fossile, utile al 90% della tecnologia chimica”. Il Piemonte sull’idrogeno fece un grande investimento già nel 2005, dando impulso all’Energy Center e all’Environment Park di Torino: oggi nel capoluogo sabaudo ci sono 6mila metri quadri di laboratori dentro i quali si stanno sviluppando le tecnologie necessarie alla produzione e allo stoccaggio di idrogeno. “Il Piemonte - aggiunge Cirri - è oggi secondo solo all’Enea come capacità di sviluppare componenti per gli elettrolizzatori”. A Torino ci sarà il laboratorio più grande per il testing sui materiali e anche l’unico centro europeo in grado di valutare la compatibilità dei giacimenti con l’idrogeno.
 
Anche la Regione si è mossa delineando una sua strategia per l’idrogeno, con il bando sulle Hydrogen Valleys e il riutilizzo di aree industriali dismesse nel contesto degli investimenti del Pnrr. “Stiamo lavorando in questo momento esclusivamente sull’idrogeno rinnovabile” fa sapere Stefania Crotta, direttore del Settore Ambiente, Energia e Territorio Regione Piemonte. I criteri di ripartizione nazionali, però, non hanno premiato il grande sforzo che il territorio ha fatto su questa tecnologia: solo 19,5 milioni assegnati su un investimento totale di 500 milioni. Con questi la Regione è riuscita comunque a finanziare tre dei sette progetti ammessi al bando (erano undici in totale, quattro dei quali sono risultati inammissibili). Per un quarto progetto dovrebbero essere disponibili altri 19,5 milioni, a seguito di rinunce in altre regioni.

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