Esistono i confronti costruttivi e poi esistono le polemiche frivole, quelle basate su fraintendimenti o innescate per alimentare inutilmente il fuoco dello scalpore. In questo secondo gruppo rientra uno degli argomenti che ha fatto tanto parlare negli scorsi giorni: le croci sulle cime delle montagne. I protagonisti di questa controversia sono il Club Alpino Italiano (CAI) e alcuni esponenti politici della destra. La ministra del Turismo Daniela Santanchè e il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini si sono scagliati contro la decisione del CAI di rimuovere le croci dalle cime delle montagne. Peccato che il CAI non abbia mai manifestato tale intenzione.
Tutto è iniziato durante la presentazione del libro “Croci di vetta in Appennino” di Ines Millesimi presso l’Università Cattolica di Milano. Durante tale evento Marco Albino Ferrari, direttore editoriale e responsabile delle attività culturali del CAI, aveva avanzato l’ipotesi di non erigere nuove croci sulle montagne e, al contempo, aveva confermato che quelle esistenti non sarebbero state rimosse.
Nei giorni seguenti questa posizione era stata riportata da un collaboratore in un articolo de “Lo Scarpone”, il portale del CAI. L’articolo in questione è stato ripreso da alcune testate giornalistiche con titoli equivoci. Da qui si è innescato il turbine di polemiche.
Probabilmente leggendo unicamente il titolo degli articoli e non informandosi in modo approfondito, Salvini e Santanchè non hanno fatto attendere le loro risposte. “Resto basita dalla decisione del CAI di togliere le croci dalle vette delle montagne senza aver comunicato nulla al ministero. Non avrei mai accettato una simile decisione che va contro i nostri principi, la nostra cultura, l’identità del territorio, il suo rispetto”, ha detto la ministra Santanchè.
“Penso che la proposta di ‘vietare’ il Crocifisso in montagna perché ‘divisivo e anacronistico’ sia una sciocchezza, senza cuore e senza senso, che nega la nostra Storia, la nostra cultura, il nostro passato e il nostro futuro”, ha replicato Salvini sul suo profilo Facebook. A questa dichiarazione ha poi aggiunto in un’altra sede “dovrete passare sul mio corpo per togliere un solo crocifisso da una vetta alpina, senza se e senza ma”. Nessuno però dovrà passare sul corpo di nessuno, per fortuna, perché il CAI - a questo punto sorge il dubbio che sia necessario ribadirlo - non ha mai detto di voler togliere le croci di vetta.
Anche il ministro per la Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo si è unito al coro di indignati. “Il dibattito sulle croci in cima alle vette, ritenute ‘anacronistiche e divisive’, mi lascia attonito”. Il culmine è arrivato con la richiesta di dimissioni da parte del deputato Mauro Malaguti per “chi ha avuto questa pensata”.
Una ricerca della Columbia University con il French National Institute ha dimostrato che il 59% dei link condivisi sulle piattaforme social non sono mai stati cliccati prima di essere ripostati. Questo significa che le persone, spesso, leggono il titolo o la didascalia presente e ricondividono senza leggere realmente il contenuto dell’articolo in questione. Dando un rapido sguardo alla polemica sorta e alle migliaia di commenti e like sotto i post dei politici viene da pensare che la percentuale sia addirittura un po’ troppo ottimista.
L’autrice Ines Millesimi ha cercato di placare la bufera con un post sul suo profilo Facebook: “NESSUNO in cripta alla Cattolica ha mai detto di togliere le croci di vetta esistenti ma anzi! Di prendersene cura. Di fare manutenzione. Ma nello stesso tempo di sospendere nuove apposizioni. E ho spiegato con dovizia di particolari il perché. Ma Salvini e i suoi crociati non vengono ai convegni e non studiano”, ha scritto.
Il CAI, quindi, è intervenuto. Il presidente generale Antonio Montani ha chiesto scusa per “l’equivoco generato dagli articoli apparsi sulla stampa”. Il CAI si è dissociato dalle opinioni del direttore editoriale Marco Albino Ferrari e da quelle di chi ha scritto il pezzo su “Lo Scarpone” anche se, all’interno dell’articolo, non si affermava che le croci sarebbero state rimosse. Salvini, in risposta, ha commentato “scelta di buonsenso del Cai che, dopo il nostro appello, fa dietrofront sullo stop alle croci in cima alle montagne. Bene così!”.
“C’è stata questa presa di posizione da parte del CAI che, secondo me con troppa fretta, si è scusato”, dice Paolo Salsotto, presidente della sezione CAI di Cuneo. “Parlo a titolo personale, ma credo che questo sia stato il punto debole. Non era il caso di chiedere scusa”.
Il caos mediatico non si è fermato ed è culminato con le dimissioni del direttore editoriale Ferrari e del curatore del sito internet Pietro Lacasella. In seguito, è stato proclamato lo sciopero da parte dei collaboratori del portale online del CAI per protestare contro il trattamento toccato a Ferrari e Lacasella. “Sono due persone validissime - afferma Salsotto - che però si sono sentite abbandonate. Bisognava ragionare con calma. Se rimanessero dell’idea delle dimissioni sarebbe un vero peccato perché stavano facendo un ottimo lavoro. Spero che si riescano a capire le varie posizioni e che ci si vada incontro”.
Il CAI nazionale sul proprio profilo Facebook ieri ha scritto: “Proviamo ora un dolore che è autentico, e sicuramente condiviso con molte e molti di voi, per le annunciate dimissioni dei responsabili del nostro settore editoriale. In nessun modo abbiamo ritenuto loro colpevoli delle conseguenze avvenute attraverso la strumentalizzazione ingiusta e incauta di quanto è stato scritto sulla vicenda. Non è stata nostra intenzione scaricare su nessuno di loro le colpe di quanto avvenuto, e con sincero senso di umiltà e solidarietà siamo pronti a cogliere la proposta lanciata dai collaboratori della Redazione de ‘Lo Scarpone’ di assumere una posizione chiara e trasparente”. A questa dichiarazione sul profilo Facebook seguono alcune domande e risposte che chiariscono, per l’ennesima volta, la posizione del CAI.
Tante parole inutili quindi, che hanno generato un vortice di indignazione, chiarimenti (non dovuti) e dimissioni. A dimostrazione del fatto che i titoli clickbait funzionano, che pochi sono coloro che si informano in modo approfondito confrontando le fonti e che i social hanno il grande potere di far fare la rivoluzione alla gente dietro agli schermi. Tutto per qualche titolo acchiappa click, due like in più, e una comprensione del testo che non va al di là delle cinque righe di introduzione.