L’emergenza generata dall’epidemia di coronavirus ha aumentato gli episodi di violenza sulle donne, poiché spesso la violenza avviene dentro la famiglia. E se i membri non hanno possibilità di uscire dal contesto familiare, sono inevitabilmente più esposti a ciò che accade all’interno delle abitazioni.
Barbara Rosina (Presidente Ordine Assistenti Sociali del Piemonte) identifica gli ingranaggi di un sistema messo in difficoltà dell’emergenza: “Le disposizioni normative in materia di distanziamento sociale utili a contenere il contagio si sono rivelate un elemento ostacolante l’accoglienza delle vittime. È più difficile depositare una denuncia, occorre più tempo per farsi refertare gli esiti della violenza, colleghi impegnati nel settore segnalano la difficoltà a sottoporre le donne al tampone in tempi brevi per procedere con l’ingresso in struttura, la scarsa disponibilità di posti, agenti delle Forze dell’Ordine ridotti di numero perché malati”.
Cinzia Spriano (consigliera dell’Ordine ed esperta in materia) dichiara: “Nel rispetto delle prescrizioni emergenziali previste, i servizi socio-assistenziali – essendo essenziali - sono aperti, e garantiscono l’operatività e il funzionamento in questa seconda ondata come nella prima. Anche i centri antiviolenza e le case rifugio sono attivi. Tuttavia, sono emerse criticità nella fase di accoglienza della donna e anche di messa in protezione, ad esempio con la convalida di arresti (che in alcuni casi sono stati coordinati “da remoto”). Si è registrata una diminuzione delle denunce da parte delle donne in primavera, riprese poi nell’estate dove si sono registrati aumenti di notizie di reato che riguardano principalmente il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e di “atti persecutori” (art. 612 bis c.p.). Se ne deduce che le vittime hanno avuto meno occasioni per poter accedere ai commissariati o alle caserme, perché non potevano uscire a causa dell’emergenza sanitaria ed erano più controllate. Servono procedure più coordinate tra servizi sociali e Forze dell’Ordine. Il sistema dei servizi esiste e sta in piedi, ma in questo periodo di crisi si sono acuite pericolosamente le problematiche già esistenti e da tempo segnalate a livello politico”.
“I Centri antiviolenza e le Case rifugio - ricorda Barbara Rosina - costituiscono il fulcro della rete territoriale nei percorsi di accompagnamento delle donne nella fuoriuscita dal circuito della violenza. In Piemonte sono attivi 20 Centri antiviolenza, 81 sportelli, 12 Case rifugio per le donne vittime di violenza e di maltrattamenti. I finanziamenti regionali convogliano quasi esclusivamente nel supporto dei centri, mentre sono scarsi per i servizi sociali che quotidianamente operano in aiuto di donne vittime appartenenti a contesti multiproblematici. Senza dimenticare la necessità di lavoro di prevenzione da fare con i giovani (educazione sentimentale, percorsi che aiutino i genitori ad accompagnare i figli alla parità di genere), un ulteriore sostegno è necessario inoltre per l'attivazione di percorsi di rieducazione degli uomini autori di violenza, in particolare sul piano della prevenzione, già previsto nel Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020. Ricordiamo che il Dipartimento per le pari opportunità, come raccomandato nell’art. 16 della Convenzione di Istanbul, riserva specifiche risorse per il sostegno di programmi di prevenzione, recupero e trattamento per uomini maltrattanti per prevenire la recidiva e per favorire l’adozione di comportamenti non violenti nelle relazioni interpersonali. Occorre lavorare affinché anche questi percorsi siano accessibili su tutti i territori, ne discuteremo il prossimo 30 novembre nel corso di una tavola rotonda nella quale si rifletterà sugli interventi legati al recupero degli autori di violenza”.
Conclude la Presidente dell’Ordine Assistenti sociali del Piemonte Barbara Rosina: “Ci associamo alle parole del Premier Conte pronunciate nella giornata di ieri al Senato durante l’evento “Dalla parte delle donne. Il ruolo fondamentale dei centri antiviolenza”, organizzato dalla Commissione d'inchiesta sul femminicidio. Riteniamo fondamentale il ruolo della politica nel guidare ed indirizzare una comunità nazionale con la massima fermezza, affidandosi agli esperti che, oltre che dialogare con la società, possono offrire alla politica stessa una più completa consapevolezza. Ciò può garantire un rafforzamento della osmosi tra sistemi ed istituzioni e società civile sul tema dei diritti alimentando un circolo virtuoso tra i diversi poli. Solo una politica adeguatamente formata e informata su questi temi può agire in maniera efficace. Gli assistenti sociali non si tirano indietro, le loro competenze e conoscenze sono a disposizione delle istituzioni, della società e della politica per lavorare in termini di prevenzione, formazione ed informazione a favore dei diritti delle vittime e di quelli degli autori di violenza e della società nel suo complesso”.