DRONERO - Lo “show” di Dario Fabbri a Dronero: “Gli americani? Un popolo depresso. Trump incarna la loro vendetta”

Il direttore di Domino non crede a cambi di rotta repentini degli Usa: “Il presidente non può fare da solo, ma sullo stop alla guerra in Ucraina ora c’è sintonia”

Andrea Cascioli 11/11/2024 19:15

Bando alle solite ciance quando sale “in cattedra” Dario Fabbri, come è accaduto domenica sera davanti al pubblico attento del festival “Ponte del Dialogo” a Dronero. Il direttore di Domino era atteso per la presentazione del nuovo libro “Sotto la pelle del mondo” (Feltrinelli), insieme al giornalista Mario Bosonetto.
 
Alla fine si è parlato quasi solo di America e, com’era inevitabile, di Donald Trump. Andando però al di là delle considerazioni ovvie e ritrite di molta stampa sul tycoon, un uomo che - ricorda Fabbri - parla a un’America profonda di cui non ha mai fatto parte: “Trump è un oligarca newyorkese, non c’entra niente con questa America: se gli si fermasse l’auto in Kentucky, dove prende milioni di voti, non scenderebbe nemmeno. Ma ha capito che i politici non possono creare la realtà, possono solo incarnarla”. E quello che lui incarna è la “profondità tedesca” del Midwest, il cuore bianco del Paese, insieme a una reazione di orgoglio imperiale: “Dovete ridarci quello che è nostro e ce lo dovete ridare con gli interessi. Questa è la parte di America che si definisce ‘isolazionista’ e lo è perché dice ‘le guerre fatele voi’: come stanno facendo adesso in Ucraina. L’America delle coste ha ancora il fervore moralistico di chi vuole salvare l’umanità: l’America profonda no”.
 
Gli americani sono depressi, dice Fabbri. Non è un giudizio impressionistico: nel 2023, il 29% della popolazione è stato diagnosticato almeno una volta come patologicamente depresso. È un dato incredibile, a cui si aggiungono altri segnali di disagio, a partire dai circa 35mila morti di overdose per Fentanyl. “Gli Usa hanno un tasso di suicidi quattro volte superiore al nostro” aggiunge l’analista geopolitico, ma la loro crisi è - per così dire - di civiltà: “Hanno scoperto che la grande maggioranza degli esseri umani non ama gli americani e soprattutto non vuole vivere come loro. Nessuno pensa che i generi siano più di due e che il mondo stia finendo per una catastrofe ambientale come al tempo dei Maya, lo pensano solo gli occidentali”.
 
A fargli aprire gli occhi non è stato tanto l’11 settembre (“un evento mediamente irrilevante, portato al parossismo”), ma soprattutto le tragiche invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq. Questa scoperta si è tradotta in risentimento: “Ce l’hanno soprattutto con gli europei: non facciamo la guerra, esportiamo senza pagare, campiamo solo di economia. Se vi sembra la retorica di Trump, è perché è la retorica di Trump”. I dazi nascono da questa volontà degli americani di essere “risarciti”, così come la richiesta di spendere di più per la nostra difesa: “Trump dice ai suoi elettori che gli europei vivono meglio, ed è vero. Ma da sempre l’impero protegge i clientes e fa da compratore di ultima istanza, e nel cuore dell’impero si vive sempre peggio che nelle province: Tiberio Gracco scriveva nelle sue orazioni che i romani erano padroni del mondo ma non avevano neanche una zolla di terra”.
 
Fabbri non crede però che il ritorno in carica di “The Donald” sia l’inizio di una rivoluzione copernicana. Non è successo nemmeno nel primo mandato, ricorda: “Nei quattro anni in cui è stato presidente aveva cinque promesse: aprire alla Russia, costruire ciò che mancava del muro dicendo che l’avrebbe pagato il Messico, fermare l’immigrazione, riportare la manifattura negli Stati Uniti e riportare una buona fetta di militari a casa. Di queste cinque promesse cosa rimane?”. Nulla, è la risposta: l’apertura alla Russia è stata bloccata da un impeachment, i fondi per il muro al confine hanno coperto 72 chilometri in tutto (nemmeno costruiti), il deficit commerciale è aumentato anziché diminuire e così i militari all’estero, cresciuti di 2.500 unità e allocati in Germania in funzione anti-russa. Quanto all’immigrazione, nei tre anni ante Covid sono arrivati più immigrati che negli otto precedenti.
 
Colpa delle promesse infrante? Non proprio: “Il presidente degli Stati Uniti d’America, in realtà, ha pochissimi poteri: gli Usa sono un impero ma non hanno un imperatore, era un obiettivo dei padri fondatori. Quello che non immaginavano è che queste tredici colonie diventassero la potenza dominante del pianeta”. Per imporre la sua linea Trump deve venire a patti con gli apparati, cioè il deep state che ha additato per anni all’elettorato MAGA e che ritiene responsabile anche della sua contestata sconfitta elettorale nel 2020. La novità, secondo l’ex enfant prodige di Limes, è che questa volta c’è più sintonia, soprattutto su due temi: l’Ucraina e i dazi. “Gli apparati ora lo seguono - dice Fabbri - un po’ perché l’opinione pubblica lo vuole, un po’ perché la guerra non va né avanti né indietro: ma c’è un dato ancora più importante, che questa guerra ha trasformato la Russia nel socio di minoranza della Cina. E gli americani hanno paura di affrontare una Cina rafforzata da tutto ciò che di meglio può offrire la Russia”.
 
Quindi Trump può riuscire a congelare il conflitto, così come potrebbe riuscire - col sostegno del parlamento - a imporre dazi che del resto sono già stati approvati in forma indiretta negli anni di Joe Biden, con gli incentivi a produrre in America. Elon Musk gioca un’altra partita, rischiosissima: “Jobs, Gates e Zuckerberg non si sono mai esposti così tanto in politica. Musk invece è lì perché teme molto gli apparati federali dello Stato, dato che non è americano e questo non è un dettaglio. Punta a salvare sé stesso, però si è troppo legato a Trump e sa che gli potrebbe costare”.
 
E l’Europa? Andrà a ruota come sempre, prevede Fabbri: “Non è mai successo che la provincia dell’impero decidesse dove andare. L’Europa non esiste, esistono i Paesi europei che si muovono in ordine sparso”. Il punto è che nemmeno gli americani sanno fino in fondo dove vogliano andare: sono stanchi di guerre ma consapevoli che un impero non può abdicare, mai. Quindi non resterebbero a guardare se gli europei decidessero davvero di fare da soli: “In Italia ci sono ancora 13500 militari statunitensi: non li abbiamo invitati e non se ne andrebbero se glielo chiedessimo. Gli americani non ci lascerebbero creare l’esercito europeo, per quanto è impossibile pensare che qualcuno voglia farlo davvero. Se la Germania spendesse per dieci anni il 2% di Pil in spesa militare, come ci chiedono, diventerebbe la terza potenza militare del mondo. A quel punto gli americani direbbero: chi ve l’ha chiesto?”.

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