Ci sono una serie di fraintendimenti nella vicenda, in sé deplorevole, della campagna di “street marketing” avviata nelle strade di Cuneo (e non solo) da un aggregatore di annunci erotici online. Il primo riguarda ciò che in concreto si voleva pubblicizzare, ovvero una classifica delle città ritenute “migliori” o “peggiori” per gli incontri a pagamento, in base alle recensioni dei clienti.
È quindi del tutto fuori strada la sindaca Patrizia Manassero, quando in un’intervista rilasciata ai colleghi di Targatocn dichiara: “Il fatto che Cuneo non sia tra le migliori città per la prostituzione, che non ci sia quindi un mercato così vivace, significa che è stato fatto un buon lavoro da parte delle forze dell'ordine e dell'amministrazione”. La classifica infatti non c’entra nulla con la difficoltà o meno nel trovare prostitute - e basta una rapida occhiata sui vari portali specializzati per accorgersene. A meno che la supposta “cattiva qualità” degli incontri mercenari non sia un merito da ascrivere all’amministrazione cittadina, ma vogliamo credere che non fosse ciò che la sindaca intendeva rivendicare alla sua giunta.
Ciò che invece non emerge - e che ci si sarebbe aspettati dagli amministratori - è una condanna netta dell’intera campagna. Perché se è vero che non c’è nulla di illegale nell’attività dei siti di escort, è altrettanto vero che una pubblicità del genere è censurabile nel metodo e nel merito. Nel metodo, dal momento che si tratta di un’azione su suolo pubblico non autorizzata dal Comune. Nel merito, perché espone alla visione di contenuti erotici, con tanto di Qr code per il collegamento diretto al sito, anche bambini e persone che, a prescindere dall’età, volentieri ne avrebbero fatto a meno. Nessuna “nota positiva”, per citare ancora Manassero, in quella che rimane un’operazione di marketing illecita e di cattivo gusto, aiutata semmai dalle testate che non si sono fatte remore nel rilanciarne i contenuti.
Quanto poi all’attività in sé, giova ricordare che nel nostro Paese la prostituzione non è sanzionata in quanto tale dalla legge. Lo sono invece lo sfruttamento e il favoreggiamento della stessa, reati in merito ai quali la giurisprudenza ha tracciato confini molto netti. Se un cambiamento vistoso c’è stato negli ultimi anni questo riguarda la scomparsa della prostituzione di strada, propiziata dal Covid. Solo pochi anni fa le cronache erano piene di denunce corredate da indicazioni geografiche, una via crucis ben nota ai residenti dei vari corso Kennedy, corso IV Novembre, corso Monviso, eccetera. E questo è nulla, beninteso, in confronto ai
vecchi tempi. Il sesso a pagamento si è chiuso in casa e ha smesso - perlomeno - di rappresentare un problema di ordine pubblico, al netto degli episodi di sfruttamento che esistono (li abbiamo documentati più volte sulla nostra testata, si veda ad esempio la terribile vicenda della
“casa delle nigeriane” in via Basse San Sebastiano).
Episodi che di certo non dipendono dall’esistenza dei siti d’incontri e nemmeno - sia detto per chiarezza - dalla prostituzione in sé, laddove sia davvero libera da minacce e ricatti.