Ben poche delle persone che hanno a che fare almeno una volta nella vita con l’amministrazione della giustizia sanno che sovente il giudice o il pm che si occupano del loro caso non fanno parte dei ranghi della magistratura “ufficiale”.
L’ordinamento italiano distingue infatti tra magistrati cosiddetti “togati”, ovvero i giudici e i procuratori di carriera scelti attraverso un concorso pubblico, e magistrati onorari. Questi ultimi non sono legati allo Stato da un rapporto di pubblico impiego e vengono delegati in via temporanea a svolgere funzioni giudicanti (è il caso dei giudici di pace e dei got, giudici onorari di tribunale) oppure a rappresentare l’accusa in udienza (i vpo, cioè vice procuratori onorari). Si tratta perlopiù di avvocati che - onde evitare possibili conflitti d’interesse - esercitano in un foro diverso da quello in cui sono chiamati invece a ricoprire la funzione di magistrato: a Cuneo, dopo l’accorpamento con i tribunali di Saluzzo e Mondovì, questi professionisti arrivano in massima parte dalla provincia di Torino e dal Ponente ligure.
L’apporto di got e vpo all’amministrazione della giustizia è poco noto al pubblico ma essenziale. Basti dire che a queste figure, all’incirca 5mila in tutta Italia, vengono subappaltate il 50% delle udienze nei tribunali civili e l’80% di quelle penali di primo grado. Una mole immensa di fascicoli dai quali le scrivanie dei togati sono alleggerite per permettere a questi ultimi di concentrarsi sulle attività investigative e le mansioni non delegabili. Il problema, sottolineano parecchi di loro, è che lo Stato trae grande profitto da questo lavoro senza offrire molto in cambio. Giudici e vice procuratori onorari sono infatti retribuiti a cottimo: il compenso è di 98 euro lordi per ciascuna giornata di udienza, che raddoppiano qualora l’attività superi le cinque ore. Per loro, a differenza di quanto accade ai colleghi togati, non ci sono contributi previdenziali specifici, ferie retribuite, giorni di malattia o di maternità. Una condizione che ovviamente ha pesato in modo particolare nei mesi dell’emergenza sanitaria e della sospensione pressoché totale delle udienze.
La questione si trascina da anni senza una soluzione: già nel 2016 la Commissione Europea aveva ritenuto incompatibile la normativa nazionale con il diritto dell’Unione. Lo scorso 16 luglio una sentenza emanata dalla Corte di Giustizia Europea ha riconosciuto agli onorari lo status di lavoratori e magistrati europei, sollecitandone la stabilizzazione retributiva. Un passo che la politica - a dispetto dell’ampio numero di avvocati e magistrati tra i parlamentari - stenta però a compiere. Solo poche settimane fa il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, rispondendo a un’interrogazione in merito a firma del deputato Andrea Delmastro Delle Vedove (FdI), ha affermato senza mezzi termini che l’esistenza della magistratura onoraria “è legata alla finalità di contenere il numero dei togati, pena la perdita di prestigio e la riduzione della retribuzione della magistratura professionale”. Una valutazione che giustifica la triste realtà denunciata da molti, ovvero l’esistenza di una “magistratura di serie B” senza diritti, e che ha provocato dure reazioni nel mondo della giustizia, non solo da parte dei diretti interessati.
A Palermo due giudici onorari, Enza Gagliardotto e Sabrina Argiolas, sono in sciopero della fame dallo scorso martedì 1 dicembre. A loro si è unita oggi (martedì 8) anche un vpo dello stesso tribunale, Giulia Bentley. I colleghi di tutta Italia stanno inviando attestati di solidarietà alla protesta, diffusasi con il tam tam dei gruppi di Whatsapp: in numerosi tribunali, tra cui quello di Cuneo, la risposta scritta del ministro Bonafede è stata stampata e affissa alle porte delle aule. Se “la legge è uguale per tutti”, come sta scritto in ciascuna aula di tribunale, la giustizia a volte tarda ad arrivare, perfino per chi è chiamato ad amministrarla.