Ci sono zone del Piemonte più fragili rispetto ad altre. Esiste un indice che misura questo fattore, il cosiddetto indice di fragilità comunale (IFC), che determina, come si legge sul sito Istat, se e quali territori sono esposti a “rischi di origine naturale, antropica o a condizioni di criticità connesse con le principali caratteristiche demo-sociali della popolazione e del sistema economico-produttivo”. Nella creazione di quest’indice si tengono in considerazione dodici indicatori che descrivono alcune caratteristiche proprie del territorio.
In particolare, si analizza l’incidenza delle aree soggette a frane, la percentuale di consumo di suolo, il grado di perifericità del territorio rispetto ai servizi essenziali, il tasso di motorizzazione ad alta emissione per cento abitanti, la raccolta indifferenziata che non può essere avviata al riciclo, le aree naturali protette, la popolazione giovane e anziana, il grado di istruzione medio, il tasso di occupazione, l’incremento della popolazione, la densità imprenditoriale e, infine, la fragilità della struttura produttiva.
Il risultato dà poi origine a un punteggio da uno a dieci ai vari comuni di tutta Italia, seguendo la logica che un numero elevato corrisponde a un altrettanto elevato tasso di fragilità. L’obiettivo è quello di individuare le aree maggiormente esposte a fattori di rischio e avere la possibilità di analizzare la pericolosità di alcune zone adottando una prospettiva storica. Secondo i dati pubblicati pochi giorni fa dall’Istat e riferiti al 2019, nel Cuneese molte zone registrano un indice di fragilità comunale elevato. Alcune località hanno un indice di fragilità pari al massimo, cioè 10 su 10. Si tratta di Brondello (un piccolo comune tra Venasca e Saluzzo) e Mombarcaro. Ci sono anche casi di comuni che si trovano tra quelli ad alta fragilità ma sono migliorati nel tempo, ad esempio San Benedetto Belbo è passato da 10 a 9, Cartignano da 9 a 8. Uno dei miglioramenti maggiori è da attribuire a Roaschia, il cui punteggio è diminuito nel giro di un anno da 10 a 7.
Ci sono poi le zone che registrano stabilità nel tempo, come Montemale di Cuneo (che ottiene un punteggio pari a 9), Monterosso Grana (8), Pontechianale (8), Castelmagno (8), Elva (8), Paesana (7) e Roccavione (6). In generale, tutte queste località si classificano negativamente per la “raccolta indifferenziata dei rifiuti urbani per abitante”, secondo cui “al crescere dell’indicatore cresce il livello di fragilità”, si legge nell’indice. Nello specifico, sia Mombarcaro che Roaschia raggiungono un risultato elevato a causa anche del punteggio attribuito ai rifiuti prodotti e non riciclabili (306,91 nel primo caso e 393,48 nel secondo). Ma la situazione non è migliore negli altri comuni.
Cuneo città, invece, ottiene un ottimo punteggio, pari a 1. È un dato che rimane stabile rispetto al 2018, con alcuni miglioramenti però se si analizzano i dodici fattori presi in considerazione. Anche altre città raggiungono il punteggio del capoluogo della Granda. Fanno parte dell’elenco località come Savigliano, Saluzzo, Cherasco, Mondovì, Entracque, Vinadio e Valdieri. Alcune di queste hanno migliorato il loro punteggio rispetto al 2018: Saluzzo, Mondovì e Valdieri sono passate da 2 a 1, mentre Entracque ha avuto un miglioramento ancora maggiore passando da 3 a 1.
Basta una prima occhiata alla mappa dell’Italia dell’Istat (e disponibile sul loro sito) creata sulla base dei risultati dell’indice di fragilità comunale per capire che ci sono regioni in cui la situazione è decisamente peggiore di quella piemontese. Prima tra tutti quella di Sicilia e Calabria. Guardando unicamente al Piemonte, il nord ovest della regione è il territorio che evidenzia situazioni più critiche.
Indici come questo, sebbene siano pubblicati con qualche anno di ritardo, sono fondamentali per conoscere precisamente i punti deboli e le difficoltà di un determinato territorio e, di conseguenza, per agire in modo costruttivo in vista del futuro per il bene di chi quei territori li vive e li vivrà.