La proposta era stata lasciata cadere dal tavolo regionale un paio di giorni fa: chiedere alle Rsa - le residenze per anziani non autosufficienti - di ospitare alcuni posti letto dedicati agli ammalati di Covid-19.
Un’ipotesi che ha suscitato moltissime contrarietà e una dura levata di scudi da parte dei sindacati. Ad oggi, l’Asl CN1 starebbe valutando la possibilità di alloggiare una trentina di pazienti in via di guarigione presso la casa di cura Monteserrat a Borgo San Dalmazzo. Un’ipotesi che non piace al segretario provinciale di Cgil Funzione Pubblica, Alfio Arcidiacono: “Per quanto ne sappiamo le varie strutture in provincia non hanno dato la loro disponibilità e fanno bene a non farlo. Prima di chiedere una cosa del genere la Regione dovrebbe spiegare alle residenze sanitarie assistenziali cosa intende fornire”.
Per i pazienti affetti da coronavirus infatti servono stanze e reparti dedicati, isolati da tutto il resto. E non è sufficiente l’assistenza degli OSS ma si richiede una presenza continua di medici e infermieri. Insomma, è una soluzione dispendiosa - in termini di risorse sanitarie - e anche soggetta a evidenti rischi. Perché i più esposti alle conseguenze letali dell’epidemia sono proprio gli anziani.
In provincia di Cuneo sono un centinaio le case di riposo pubbliche e private, con una capienza che oltrepassa la domanda locale: le residenze del Saluzzese, ad esempio, attraggono anziani anche dal Pinerolese e dal resto della provincia di Torino, mentre nelle Langhe arrivano addirittura ospiti da grandi città come Milano e Torino dove è più difficile trovare un posto. In queste realtà lavorano migliaia di persone che sono fra le più impegnate a fronteggiare l’emergenza e in non pochi casi stanno pagando questo impegno con la propria salute.
In almeno sei strutture sono stati registrati contagi: il caso più eclatante è quello di Garessio, dove 26 persone nella Fondazione Opera Pia Garelli - tra cui sette dipendenti - sono stati trovati positivi al coronavirus. Tre degli anziani ospiti sono deceduti (su un quarto non è stato eseguito il tampone), ultimo tra questi l’ex parroco 90enne don Erasmo Mazza. Il Monregalese è un’area critica dove il contagio si è esteso alle case di riposo Sacra Famiglia di Mondovì, alla monsignor Eula di Roccaforte e alla don Rossi di Villanova Mondovì - in quest’ultima purtroppo si registra anche il decesso di un’anziana. Un altro decesso collegato al Covid-19 era avvenuto alla Mater Amabilis di Cuneo. In tutti questi casi il personale è stato esposto all’infezione e si segnalerebbe un contagio certo anche all’Ipab di Bagnolo Piemonte.
È presumibile tuttavia che le case di riposo colpite dall’epidemia siano molte più di sei, conferma Arcidiacono:
“La nostra preoccupazione dipende dal fatto che si stanno facendo tamponi solo dove è già stata riscontrata la presenza di un malato. Non ho dubbi che se si facessero esami su tutti i dipendenti emergerebbero altri dati”. Il personale delle residenze, a differenza di quanto si comincia a fare (solo ora) con medici e infermieri degli ospedali, non è stato sottoposto finora a test generalizzati: da questa sera, secondo
quanto annunciato dall'assessore regionale Icardi, si dovrebbe cominciare a farlo.
I sindacati rivendicano tamponi per tutti e maggiori garanzie sul fronte delle prevenzioni, a cominciare dall’impegno a garantire mascherine e DPI ai lavoratori e a fornire loro la necessaria formazione. Qualcosa si è mosso solo in queste ore con la sottoscrizione di un protocollo nazionale che impegna le regioni a far rispettare le stesse linee guida nelle aziende sanitarie e nelle case di riposo.
Ma è ancora troppo poco. “Assurdo parlare di pazienti nelle case di riposo - osserva Arcidiacono - quando già si sta faticando a far partire Verduno perché non si trovano infermieri e medici a sufficienza. Ci si concentri sull’avvio di un complesso ospedaliero nuovo e prezioso invece di chiedere la disponibilità di strutture che non sono preparate per questa emergenza”.