Riceviamo e pubblichiamo.
Il Dipartimento Interaziendale per l’emergenza territoriale 118 ha redatto una serie di algoritmi clinico assistenziali che consentono agli infermieri di gestire alcune condizioni cliniche urgenti in autonomia decisionale. Questa scelta è stata dettata dalla progressiva carenza di medici del sistema 118 e dalla conseguente necessità di rendere, in qualche modo, autonomi gli infermieri. A nostro avviso, gestire con un approccio emergenziale un problema che era prevedibile (e da noi segnalato) da anni, non è accettabile.
- Si sarebbe dovuto, come chiediamo da tempo, rendere più attrattivo il lavoro del medico dell’emergenza urgenza.
- Si sarebbe dovuto riformare il sistema del 118 con un progetto complessivo, strutturale e di largo respiro. Come, ad esempio, proporre la dipendenza ai medici del 118. Favorire un interscambio tra personale dei DEA e del 118. Formare e tutelare il personale infermieristico del 118, che è indubbiamente motivato ed entusiasta, con master o corsi di laurea abilitanti.
Invece, ancora una scelta al ribasso, più economica (perché non prevede l’aumento di remunerazione per gli infermieri), che espone al rischio medici, infermieri e pazienti. E che di certo non contribuirà a fermare l’emorragia dei medici del 118 o a rimpolpare gli organici. Vengono infatti proposti degli algoritmi, che l’infermiere decide di applicare dopo la valutazione clinico anamnestica del paziente. Dopo la prima analisi, l’infermiere contatta la Centrale Operativa per comunicare di trovarsi in una delle situazioni che prevedono l’uso dell’algoritmo scelto. Nella preparazione di detti algoritmi il Dipartimento non ha coinvolto in modo effettivo la componente medica, che potrebbe trovarsi ad operare in un contesto che espone a controversie medico legali, in quanto è stato reso troppo fluido il perimetro delle responsabilità sugli atti medici delegati. Se da un lato, infatti, è l’infermiere ad agire sul paziente, le azioni che compie sono condivise con la centrale operativa (CO) e non è chiaro se in modo diretto con il medico di CO. Potrebbe infatti realizzarsi l’eventualità che al medico sia richiesto in pochi minuti di autorizzare terapie su pazienti che non conosce (non è un medico reperibile di un reparto a cui l’infermiere in turno chiede di poter somministrare una terapia) e che non ha davanti.
Viceversa, l’autonomia dell’infermiere, su atti medici, comporta che l’infermiere del 118 diventi l’unico professionista non medico ad utilizzare in autonomia farmaci, cosa prevista solo nelle condizioni di urgenza dall’art. 10 del DPR, 27 marzo 1992. Questo, ovviamente, esporrebbe gli infermieri a responsabilità che a loro non competono e a conseguenti rischi medico legali importanti. Oltre a prevedere la delega agli infermieri di atti medici. Dovrebbe essere quindi il Direttore del servizio a farsi carico della responsabilità dell’agire dell’infermiere. È anche chiaro che, invocare lo stato di necessità per la scelta di agire con terapie e manovre da parte del Servizio di Emergenza Territoriale, è possibile in una situazione di emergenza, ma è solo colui che si trova nella situazione contingente che può verificare l’esistenza delle condizioni che identificano lo stato di necessità, come prescrive la Legge. Un sistema d’emergenza perfetto (che non esiste), nel quale la valutazione al telefono corrisponde esattamente alle condizioni cliniche del paziente che verrà soccorso, invierebbe le ambulanze più attrezzate solo nei casi di reale necessità e, quindi, gli equipaggi si troverebbero ad operare esclusivamente su casi di reali urgenze o emergenze. Ma il sistema di emergenza è innanzitutto un Servizio, cioè “è a servizio” del cittadino, che si trova in una condizione, a suo giudizio, di pericolo. Di fatto, non tutti i pazienti sono in pericolo di vita, ma in tanti hanno sintomi che richiedono un accurato inquadramento clinico. La figura del medico, con le sue competenze, è funzionale a questi scopi essendo l’interlocutore più autorevole con cui il paziente, e i suoi familiari, possono confrontarsi. Chi struttura quindi un Servizio d’Emergenza, ospedaliero o territoriale, non può non tenere conto di questo.
Infine, se è vero che la formazione di un professionista dell’emergenza urgenza non possa limitarsi a dei protocolli, va anche evidenziato come, fino ad ora, si sia investito poco su una reale formazione professionalizzante. Infatti, finora, il dipartimento interaziendale regionale del 118 ha preferito fornire una formazione congiunta ai medici e infermieri che operano nel Servizio 118: questo ha favorito, certamente, il lavoro d’équipe, a discapito però di una formazione più prettamente medica, finalizzata a traguardi di conoscenza più adeguata, sia da un punto di vista professionale, che culturale. Il Dipartimento d’Emergenza deve farsi carico della formazione continua dei medici, stimolandone la crescita professionale, che coincide con quella degli infermieri negli scopi, ma non nelle competenze. Insomma, molte difficoltà che ci portano a sostenere fermamente che l’opzione di mantenere dei medici d’urgenza sul territorio sia un valore da implementare, sia nei numeri che nella loro formazione ed efficacia.
Per questo abbiamo richiesto anche l’autorevole parere degli Ordini dei Medici del Piemonte, per capire i risvolti deontologici e di legittimità normativa della proposta del Dipartimento 118. Crediamo infine che, anziché proporre una strisciante demedicalizzazione del Sistema 118, sia indispensabile prevedere una riorganizzazione complessiva del Sistema d’Emergenza Territoriale, che garantisca la migliore assistenza possibile ai cittadini valorizzando le figure professionali mediche e non mediche.
La segreteria Regionale Anaao Assomed Piemonte