Se dietro non c’è una semplice incuria ma la decisione di qualcuno, come parrebbe, stavolta si può parlare di “cancel culture” in senso letterale. La scritta “Regie Poste Telegrafi” che fin dal primo Novecento sormonta il palazzo delle Poste centrali di Cuneo non reca più l’aggettivo iniziale.
La scoperta è stata fatta da alcuni attenti cittadini che hanno messo il naso all’insù dopo che il ponteggio era stato finalmente smontato. Il palazzo, tornato al suo antico splendore dopo un restauro estetico-conservativo della facciata, fa in effetti una bella impressione. Peccato che in alto sia rimasta una “casella vuota”. Per semplice disattenzione o per atto di volontà? Il consigliere Beppe Lauria vorrebbe togliersi il dubbio e per questo ha fatto del curioso caso l’oggetto di un’interpellanza.
“Stante ‘l’età’ lo stabile sicuramente è sotto la tutela delle belle arti” premette l’esponente dell’opposizione di destra: “Ho sempre pensato, tranquillizzando il mio legame alla storia del nostro straordinario Paese, che proprio per questo motivo particolare attenzione fosse riservata a tale patrimonio da parte delle istituzioni tutte”. Ci si chiede allora se la segnalazione sia giunta anche agli uffici comunali e se la soprintendenza abbia rilasciato un nulla osta: “Soprattutto come sia possibile che ciò si sia prodotto” insiste Lauria, tenuto conto che “il palazzo è un tutt’uno con scritte, adorni e quant’altro”.
Pensare che alla posa della prima pietra del futuro Palazzo delle Poste presiedette proprio sua maestà, il re Vittorio Emanuele III, come raccontano le cronache del tempo. Correva il 1 agosto del 1926. Il sovrano arrivò in automobile alle 8,50 precise, accompagnato da un corteo di alti rappresentanti della casa reale al quale si erano aggiunti il ministro delle Comunicazioni Costanzo Ciano, il direttore generale delle Poste ammiraglio Giuseppe Pession e i notabili della città. Nei discorsi di rito il commissario prefettizio ricordò che da lungo tempo era avvertita “la necessità di dare a Cuneo una sede postelegrafonica che fosse degna del movimento commerciale della città, ma che gli avvenimenti guerreschi e le loro lunghe conseguenze impedirono che prima d’ora il volto della città si compisse”: la guerra d’Etiopia era finita da nemmeno tre mesi.
Il vescovo benedisse la prima pietra e il sovrano firmò la pergamena. Poi prese la cazzuola d’argento che gli veniva porta e, raccolta un po’ di calce dal bacile, la sparse sulla pietra su cui era stata racchiusa la pergamena: “Questa - riprendiamo dai cronisti di allora - viene calata con solide catene nella profonda buca opportunamente scavata mentre la folla intorno prorompe in applausi e la musica intona la Marcia reale”. L’edificio era stato progettato a tempi di record - una settimana, secondo alcune ricostruzioni - e a tempi di record viene costruito: il 15 settembre del 1927, con grande tripudio per la comunità cittadina, avvenne l’inaugurazione. Da record o quasi anche i costi, molto contenuti: 4.400.000 lire.
Il sito delle Poste Italiane riporta l’intera vicenda e ricorda anche le polemiche che invece intervennero qualche tempo dopo. All’epoca era già stato istituito all’interno del Ministero delle Comunicazioni un ufficio dedicato proprio alla progettazione degli edifici postali. La sede cuneese venne però progettata dal Genio civile del Ministero dei Lavori Pubblici, suscitando qualche perplessità da parte delle Regie Poste che ne criticarono la poco razionale distribuzione degli spazi. Poco importa, perché a quel punto Cuneo aveva finalmente gli uffici delle Poste e Telegrafi che fin dal 1920 confidava di poter costruire: un vero e proprio palazzo in grado di ospitare tutti i servizi. Per farvi spazio fu deciso di intervenire in modo radicale sull’assetto urbanistico dell’area in cui doveva sorgere, abbattendo anche alcuni edifici: “Il Palazzo delle Poste di Cuneo è uno di quei luoghi che ci regala ancora oggi un viaggio nel tempo, un luogo ricco di fascino al servizio degli affetti e degli affari” si legge sul sito, dove - perlomeno - non si è ancora pensato di sbianchettare la dizione “Regie Poste”.