“Non so quante persone in questa sala, oltre a chi ci lavora, è mai entrata in carcere. Noi di AVS abbiamo visitato dieci istituti fino ad ora, io sei nell’ultima settimana”. Giulia Marro ha aperto così il suo intervento durante la seduta straordinaria di stamattina del Consiglio regionale, dedicata alle condizioni di lavoro della Polizia Penitenziaria.
“Sono stata a Cuneo, con più regolarità, per cercare di comprenderne meglio la quotidianità e andare più in profondità nelle difficoltà strutturali esistenti. - ha detto la consigliera cuneese di AVS - L’episodio di ieri mi conferma quanto questa struttura sia in forte crisi e sia importante presidiare questo luogo, in cui, peraltro, i volontari mi comunicano sia ormai difficilissimo fare attività. Per la prima volta da trentacinque anni entrano in struttura ma attendono invano l’arrivo dei detenuti. Tornerò questo pomeriggio per verificare lo stato della sezione danneggiata e per approfondire la ragione della rivolta”.
Nel suo intervento Marro ha fornito una lunga analisi delle problematiche incontrate nei penitenziari piemontesi durante le sue visite: “Gli agenti incontrati mi confidano che il problema principale, dopo la preoccupante mancanza di personale, è la popolazione detenuta che è cambiata. Più violenta, più irrispettosa delle regole anche dentro il carcere. La nostra società sta cambiando: sono aumentate le persone con fragilità socio-sanitarie, è cresciuta la popolazione di origine straniera. Questo cambiamento si riflette sulla popolazione carceraria che, come del resto fuori dal carcere, ha evidentemente bisogno di essere presa in carico in modo diverso. Se continuiamo a puntare sulla repressione, dentro e fuori dal carcere, non possiamo sperare in un reale miglioramento della situazione. Il risultato che otteniamo infatti è quello di avere maggiori tensioni, tra detenuti, tra agenti e detenuti, ma anche tra agenti stessi”.
Tema ricorrente, toccato spesso anche dai sindacati di categoria, è quello relativo alla carenza di personale: “Si dice che dovrebbe aumentare il numero degli agenti, ma tra il 2019 e il 2023 i concorsi banditi per l’assunzione di 10 mila nuove unità ha portato all’inserimento di molti giovani alla loro prima esperienza, con una formazione di soli sei mesi, prevalentemente incentrata sul contenimento fisico. E finiscono per pagare carissimo il prezzo di una formazione che non li prepara a far fronte alle situazioni che dovranno affrontare”.
“A completare questo allarmante quadro di inadeguatezza del sistema carcerario, - ha detto ancora Marro - concorre poi la mancanza di personale socio-educativo e sanitario all’interno di quelle mura. Gli agenti spesso si ritrovano senza strumenti e senza competenze, a svolgere questi ruoli che, pur evidentemente necessari per mantenere il benessere dei detenuti, non sono adeguatamente rappresentati nell’organico penitenziario. E non è difficile capire a cosa sia dovuta questa carenza, visto che a fronte di un aumento delle persone con fragilità psichiche la sanità piemontese continua a contribuire sul tema con un investimento minimo, pari al 3% del budget. E le conseguenze le vediamo dentro, ma anche fuori dal carcere. Perché vediamo sempre il carcere come qualcosa di altro dalla società, come un non luogo a sé stante. Ma è sempre tutto collegato”.
Il ritardo o la mancata presa in carico dei detenuti è collegato a doppio filo con un altro grande problema degli istituti piemontesi: Il sovraffollamento. Ancora Marro: “Un carico di lavoro ingestibile per gli agenti, che causa un peggioramento delle condizioni di convivenza e aumenta le tensioni interne causando ritardi e carenze nei servizi essenziali, come formazione, sanità e intervento della magistratura. La Corte per i diritti dell’uomo ha chiesto di ridurre il numero delle persone presenti in carcere o di tenerle maggiormente impegnate con attività formative o ricreative. Abbiamo risposto aprendo le celle, ma tenendo le persone chiuse nei corridoi, senza lavorare sul sovraffollamento e sulle attività riabilitative. Come possiamo stupirci dei disordini? Chi ha problemi di cattiva condotta va in sezioni che subiscono più restrizioni. Tutti insieme, quando spesso mancano gli agenti per sorvegliarli. Una pentola e pressione che può scoppiare in ogni momento”.
Queste, in conclusione, le proposte della consigliera regionale cuneese: “Dobbiamo iniziare a orientare il sistema penitenziario italiano verso un modello più riabilitativo e meno punitivo. È fondamentale offrire agli agenti penitenziari una formazione specializzata che li prepari a gestire i detenuti in modo umano, con corsi di psicologia, risoluzione dei conflitti e sostegno sociale. Oltre ovviamente ad aumentarne il numero. Non possiamo trascurare l’importanza della formazione professionale e del supporto psicologico per i detenuti. Investire in istruzione, riqualificazione e programmi di assistenza psicosociale e di supporto per chi presenta dipendenze aiuterà a ridurre la recidiva e a offrire opportunità di reinserimento reale. Dobbiamo investire sull’edilizia carceraria, creare spazi razionali, dignitosi, vivibili, che facilitino lo svolgimento delle attività e il lavoro del personale. Dobbiamo far entrare più mediatori culturali nelle carceri per rispondere efficacemente alle recenti evoluzioni della popolazione carceraria, rendere i servizi più efficaci e favorire relazioni positive tra popolazione detenuta e lavoratori. Dobbiamo ricostruire il patto sociale per cui chi va in carcere sa che la pena è commisurata al crimine, e il carcere non rappresenta una sospensione dei propri diritti. Altrimenti chi ne uscirà, quando uscirà, avrà sviluppato più facilmente comportamenti anti sociali, non credendo più nell’esistenza di uno stato a cui non solo chiedere diritti, ma anche corrispondere dei doveri. Pensare al carcere significa lavorare per il bene di tutta la società. Oggi è nostro dovere garantire che non resti un luogo di abbandono e tensione, ma diventi uno spazio in cui le persone possano costruire una nuova possibilità per il futuro”.