Prosegue anche in provincia di Cuneo la protesta, diffusa a livello nazionale, contro la didattica a distanza. Dopo
le iniziative di protesta dei giorni scorsi il Movimento Scuole Aperte Cuneo, insieme al Forum delle Associazioni Familiari della provincia, ha scritto al presidente Federico Borgna, illustrando le proprie motivazioni una lettera intitolata “Alunni a casa ma attività produttive a pieno regime: il paradosso tutto italiano”.
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Vogliamo porre alla sua attenzione - scrivono i promotori delle proteste -
alcuni elementi che speriamo contribuiscano alle scelte in merito alle chiusure (delle scuole in particolare) in ragione all’andamento dei contagi in Regione e in Provincia e che riprendono quanto le avevamo illustrato nell’incontro con lei, mercoledì 10 marzo. Siamo la voce delle famiglie. Evidenziamo alcuni paradossi che questa nuova chiusura degli edifici scolastici sta provocando. Innanzitutto va ribadito, anche con il conforto dei dati dell’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte (http://www.istruzionepiemonte.it/area-covid-19/monitoraggi/), che la scuola non diffonde i contagi, eventualmente li subisce, ma li gestisce e li blocca. Il 24 febbraio 2021 Iss ha prodotto un “Focus Età Evolutiva” con dati relativi al periodo 24/08/2020 – 21/02/2021 che mostrano che dalla metà di gennaio le uniche due fasce di età che hanno visto un leggero aumento del tasso di incidenza dei positivi per 100.000 abitanti sono quella 0-9 anni e quella 10-19 anni, pur rimanendo ampiamente al di sotto delle quote novembrine. Questi numeri vanno considerati con attenzione. I rischi non sono in classe. E se i rischi sono fuori dalla scuola, la risposta non è chiudere la scuola, ma ridurre i rischi con misure adeguate”.
Nella lettera si sottolinea poi "che la percentuale di casi positivi secondari che avvengono in classe sono una percentuale minima. La stragrande maggioranza dei positivi infatti ha un positivo in famiglia”. Prosegue la missiva: “Ben più della metà dei dirigenti degli Istituti Comprensivi della provincia di Cuneo si è assunta pubblicamente la responsabilità di tenere aperte le scuole almeno fino a tutto il primo ciclo: perché allora si chiude? Manca forse un po’ di confronto? Se ci guardiamo intorno vediamo che la Francia non ha mai chiuso le scuole e la Germania ha prolungato le vacanze per poter recuperare appena possibile, ma forse sono esempi troppo lontani per l’Italia”.
Uno dei problemi principali, già evidenziati nelle iniziative dei giorni scorsi, è quello legato alla gestione dei figli a casa: “Si lasciano a casa i bambini dai 3 anni in poi ma i genitori devono continuare a lavorare: per quale algoritmo magico questa situazione si dovrebbe concretizzare? Se i genitori lavorano e non hanno nessuno a cui affidare i minori, li lasceranno da soli e incustoditi: qualora accada un imprevisto che arrechi danno al bambino o ad altri chi ne risponderà? Dobbiamo già pensare di attrezzarci a livello legale preventivamente? In un fine settimana ci si dovrebbe organizzare per trovare la baby-sitter in grado non solo di accudire i minori ma anche di seguirli nelle DaD, ma c’è un organizzazione che le fornisce? Ci è forse sfuggito qualcosa? Ci sono famiglie con più figli che non riescono nemmeno a trovare lo spazio tra le mura di casa per sistemarli in modo che possano decentemente seguire le lezioni. Alla maggioranza delle famiglie che non hanno la villa, qualcuno ci ha pensato? Chi ha figli spesso dovrà scegliere tra lavoro e famiglia, per fortuna ci sono i congedi parentali, al 50% però, ma la famiglia non era una delle priorità? Chi subisce di più l’abbandono del lavoro sono le mamme, soprattutto in presenza di bambini piccoli, ma non si doveva partire con la parità di genere?”.
Un altro dei nodi della protesta sono le conseguenze psicologiche che per gli studenti: “Ci sono studi e dati che stanno evidenziando come la salute psico fisica dei bambini e ragazzi dopo un anno di chiusure ripetute, stia cedendo: aumento conclamato di ricoveri pediatrici non per Covid ma per disturbi psicologici (Indagine dell’Istituto Gaslini, Genova); dipendenze da schermo; stili di vita e ritmi alterati; precocizzazione della maturazione sessuale che porta ad un aumento del rischio di diabete e di ovaio policistico (ricerca del Bambin Gesù); aumento della violenza domestica ed un maggior rischio di suicidi/tentativi di suicidio (JAMA August 18, 2020 Volume 324, Number 7; Gunnel D., 202). Nemmeno il nostro territorio ne è esente. Oltre al diritto alla scuola, priviamo i più giovani anche del diritto alla salute? La scuola è inclusione, si son fatti passi da gigante nei confronti della disabilità, infatti questi ragazzi potrebbero continuare in presenza, logicamente per le ore di copertura del sostegno/assistenza, ma come si sente chi ha delle percezioni “particolari” a trovarsi da solo in aula mentre i compagni sono a casa? Dopo un paio di volte, se non subito, rifiuta la proposta, rimane a casa, si perde anche il poco di cui avrebbe diritto e pone ai propri genitori insormontabili difficoltà e frustrazioni? Abbiamo sempre sentito che la scuola prepara le future generazioni, è quel ponte ideale che permette alla persona di affrancarsi dalla famiglia, diventare adulto e responsabile per inserirsi attivamente nella società... da adesso lo si farà in modo virtuale, socialmente distanti ma digitalmente coinvolti? Come famiglie non vogliamo sminuire il periodo, ormai lungo, di allarme sanitario, economico, sociale. L’impreparazione che ci ha colti un anno fa e che ha motivato scelte radicali, oggi non è più tollerabile e comprensibile: chiediamo qualche segno di attenzione, e non il solo recondito pensiero, un impegno concreto per agevolare chi è più in difficoltà e per mitigare le diseguaglianze e discriminazioni che stanno emergendo ed erano ampiamenti prevedibili.
Chiediamo quindi che la scuola in presenza venga tutelata – anche in zona rossa – perché è servizio essenziale al pari degli ospedali, delle banche, farmacie, alimentari, è luogo sicuro, più che la casa, è spazio che previene l’emergere dei disagi di tipo psicologico, comportamentale, emotivo ed educativo che stanno dilagando in questi mesi, è pilastro di inclusione e parità, è strumento di tutela anche sul piano economico e sociale per le famiglie (e le donne in particolare). Il solito refrain che la famiglia è una priorità, è al primo posto delle politiche locali e nazionali suona ormai troppo stonato, servono scelte di responsabilità in grado di guardare al di là di questi, speriamo ancora pochi, mesi difficili: ci vuole coraggio nel fare scelte importanti e lungimiranti ma forse lo sta avendo di più chi, nonostante tutto, sta donando a tutto il paese nuove vite”.