Sarà meglio fugare subito ogni eventuale dubbio: sì, il titolo di questo editoriale è un’evidente provocazione. Ma è anche la risposta più immediata che ci venga in mente, scorrendo la moltitudine di commenti che da qualche giorno si affastellano sotto a
una notizia ripresa dalla nostra testata. Abbiamo dato atto di un sondaggio ufficiale dell’Ires, l’istituto di ricerca della Regione Piemonte, secondo cui il 48,2% dei cuneesi intervistati si dice
“molto soddisfatto” della propria vita nel complesso. Per la cronaca la media regionale arriva al 40,6%, più in basso ma non a distanza siderale, e comunque l’81% dei piemontesi danno alla propria esistenza un voto pari o superiore al sei valutando salute, reddito, lavoro, rapporti umani.
Apriti cielo. Nei commenti - oltre duecento su Facebook - si è scatenata una ridda di ironie, recriminazioni, smentite, tutte più che legittime ma a tratti talmente astiose da far pensare che, se un marziano le leggesse una ad una, stenterebbe a credere di trovarsi di fronte agli abitanti di una provincia che è dieci punti percentuali sopra alla media nazionale per livelli di occupazione e 93esima (su 107) per numero di denunce. I dati vengono rispettivamente dal
Rapporto Cuneo 2023 della Camera di Commercio e dal
database del Sole 24 Ore sugli indici di criminalità, per chi se lo chiedesse.
Vediamo di mettere qualcosa in chiaro: primo, i sondaggi ovviamente sono una mappa, più o meno precisa, non una tavola della legge mosaica. Secondo, il paragone qui era tra le province piemontesi, quindi tra Cuneo (provincia) e le varie Asti, Alessandria o Biella, non tra Cuneo e Milano o tra Cuneo e Manhattan, ammesso e non concesso che questi confronti siano perdenti sui parametri che abbiamo elencato. Terzo e ultimo, i parametri erano appunto: salute, reddito, lavoro, rapporti con familiari, amici e colleghi. Molte persone evidentemente hanno commentato la notizia senza averla letta, oppure, in buona fede, non l’hanno compresa. Non si parlava del fatto che tanti bar chiudano prima delle nove di sera, per capirci.
Esistono due modi opposti - ma complementari - di essere “provinciali” nel senso deteriore del termine. Lo si può essere autoproclamandosi migliori in tutto, ma anche denigrando a priori qualunque aspetto del vivere comune nella propria realtà. In entrambi i casi chi si esprime pone se stesso a misura del mondo e valuta tutto il resto, nel bene o nel male, in funzione di quanto è percepito come vicino o lontano. I difetti del “vivere cuneese” sono noti ai più, anche a causa di una certa attitudine locale a sottovalutarsi per timore di montare in superbia: esageruma nen, appunto. Meno percepibili - perché sottaciute, ma altrettanto indubbie - sono le sue virtù. E qui non ci riferiamo tanto alla pluricitata “laboriosità” e inventiva economica, che pure ha avuto aspetti di autentica genialità per una provincia con infrastrutture trasportistiche da terzo mondo, ma alle reti di solidarietà sociale che (r)esistono e funzionano, a un generale senso civico, a un certo modo di concepire i propri doveri verso la comunità.
Certo non è tutto oro quel che luccica e gli esempi ce li abbiamo sotto gli occhi: prendiamo l’ospedale Santa Croce, che giusto qualche giorno fa ha incassato la promozione dell’Agenas, in una lista di appena nove nosocomi che hanno mantenuto alti livelli di performance nel 2021. Il neocommissario Tranchida ha colto l’occasione per sottolinearlo con un comunicato trionfante. Quel che si omette di dire è che gli indici sono tutti peggiorati rispetto al 2019: la percentuale di interventi per tumore alla mammella entro i 30 giorni crolla dal 99% al 63%, il numero di interventi per sala operatoria da 585 a 420, il costo medio di una giornata di degenza passa da 290 a 320 euro, la dotazione di infermieri per posto letto scende da 1,7 a 1,4. Cuneo, insomma, primeggia col passo del gambero in una sanità disastrata dalla pandemia.
Altrettanto si può dire per altri aspetti di primaria importanza nella valutazione della qualità della vita, come la sicurezza percepita. Chi pensa che corso Giolitti sia diventato Caracas straparla, ma è fuori di dubbio che rispetto a una ventina d’anni fa la microcriminalità sia aumentata, almeno tanto quanto è scesa l’attrattività commerciale della zona. E chi si confronti sul tema con gli operatori delle forze dell’ordine e dei servizi sociali sa bene che in alcune aree della città lo spaccio di crack è una realtà pericolosa, non una fisima da benpensanti. Di pari passo, i
dati della Caritas ci dicono che i poveri esistono - e aumentano - anche a fronte di un tasso di disoccupazione del 3,7%: anzi, rispetto a prima aumentano quelli che, pur lavorando, restano poveri. Tutto questo vale a ricordare che Cuneo città e provincia, pur reggendo (e sovente vincendo) il confronto con le altre realtà, stentano a rimanere all’altezza della “cuneesità” proverbiale, ovvero la retorica dell’isola felice. Su questo sì occorre lavorare: senza nascondere la polvere sotto il tappeto, ma senza nemmeno buttarla in caciara per il gusto di sembrare meno provinciali degli altri provinciali.