Quello che più ha stupito della presenza cuneese di Vittorio Sgarbi, ieri sera mercoledì 14 novembre, ospite d’eccezione del teatro Toselli nel contesto di ‘Scrittorincittà', non è stata tanto la fitta dialettica del critico d’arte, ma l’eterogeneità del suo pubblico. Dalla professoressa del ‘Peano’ alla casalinga di Bombonina, a vedere, e soprattutto ascoltare, quello che negli ultimi anni è diventato un fenomeno mediatico capace con la sola presenza di cambiare i dati auditel, c’era un po’ di tutto.
Questo era l'attacco del pezzo scritto prima che Sgarbi non salisse sul palco, ed è rimasto tale solamente per mere ragioni di opportunità, in quanto introdotto dall’assessore alla Cultura del Comune di Cuneo, Cristina Clerico, Sgarbi ha illuminato il teatro, dalla platea al loggione, con l'arte dell'argomentare e la teoretica sulla composizione dei presenti è immediatamente passata in secondo piano.
“Un luogo in cui ci si arriva perché ci si vuole arrivare, non si passa da Cuneo, un po’ come la mia Ferrara - ha detto l’ospite - Ogni volta che vengo ho la sensazione di ritrovare una dimensione remota e segreta: è il luogo perfetto”.
“La retorica è un’arma tagliente” cantava Jovanotti nei primi anni novanta e il riferimento era proprio a colui che all’epoca, se il paragone può reggere, era poco più che un balbuziente rispetto all’abile oratore di cui ha potuto godere il teatro dedicato al commediografo cuneese.
Altro che “A Cuneo non c’è mai nulla da fare”, Sgarbi ha lanciato tutte le massime immaginabili sul capoluogo da qui al 2030, una città “di cui nessuno parla e che nessuno viene a vedere”: “A Cuneo ci vieni perché hai una fidanzata o perché qualcuno ti ci invita”, “A Cuneo mi sento a mio agio, è la mia Ferrara”, “A Cuneo l’anteprima mondiale del mio libro, doveva essere un segreto, ma tanto siamo protetti perché nessuno passa di qui”, “Cuneo è una Ferrara senza banca fallita”. Si parva licet, roba che Gino Giordanengo spostati.
Prima di presentare il volume, per la cronaca letteraria ‘Il Novecento, dal futurismo al neorealismo’, edito da ‘La Nave di Teseo’, lo scrittore ha divertito il numeroso pubblico (da tutto esaurito) con aneddoti sul territorio cuneese. In particolare ha manifestato la volontà di visitare la valle Maira per raggiungere Elva e la parrocchiale di Santa Maria Assunta. “È la terza volta che vengo respinto 'al fronte’. La prima volta era tutto occupato, la seconda volta era tutto chiuso, proverò domattina (stamane, giovedì 15 novembre n.d.r.). Voglio vedere i dipinti di Hans Clemer (il cosiddetto ‘Maestro d’Elva’ paragonato da Sgarbi a ‘Bellini e Carpaccio’ n.d.r.). L’ho già visto a Saluzzo e Revello, ma mai a Elva".
Antecedentemente all’ingresso da protagonista al Toselli, Sgarbi è stato nel complesso monumentale di San Francesco dove, insieme al presidente della Fondazione Crc Giandomenico Genta, ha visitato la mostra dedicata all’arte informale. Dalle fondazioni bancarie alle banche il passo è breve ed ecco la politica, con una netta presa di posizione sull’ex ministro del Governo Renzi, Maria Elena Boschi e la vicenda Banca Etruria: ”Un tempo un qualunque deputato democristiano avrebbe provato a salvare la banca di casa sua”. E poi ancora politica: “Belusconi è un po’ come la Raggi, non sa quello che fa” ha detto riferendosi ad alcune scelte sul mercato delle case editrici. Non poteva mancare un riferimento agli odiati Cinque Stelle: “Qui i grillini non sfondano, in questo territorio quando vedono uno che non ha voglia di fare un cazzo ne diffidano. Indice di sanità mentale”.
In seguito, aiutato da un proiettore posto alle sue spalle, il critico d’arte ha iniziato a parlare del suo libro, senza lesinare riferimenti all’attualità politica o al recente passato. Partendo da artisti non di primo piano, almeno dal punto di vista della popolarità, come Brancaleone da Romana e Mario Cavaglieri di Rovigo, sino alla pittura metafisica con De Chirico, passando per le avanguardie futuriste come Sartorio, il 'professore' ha raccontato uno spicchio dell'arte del secolo scorso. “Il Novecento che ho cercato di raccontare non ha valori acclarati - ha detto per descrivere il suo lavoro, con un passaggio sulle opere coeve alla dittatura fascista -. Non sono esaltazione del regime, ma la cultura di un’epoca”. “La meraviglia del novecento - ha concluso - è quella di individui che hanno voluto prendere in mano il proprio destino. Non si possono descrivere cent’anni con gruppi che ostentano la distruzione del singolo. Ho costruito un ‘contronovecento’ per guardare il secolo da una prospettiva non canonica”. Segue un minuto di applausi.
All’uscita tutti contenti: uno Sgarbi ecumenico ha compiaciuto i suoi molteplici pubblici, chi si aspettava turpiloqui e aforismi graffianti è stato ampiamente soddisfatto, così come coloro che erano interessati alla lectio magistralis. In ogni caso un personaggio distante dalle telerisse e dagli isterismi che ne hanno consolidato la popolarità, ma godibile nella esibizione quasi dannunziana della sua sconfinata cultura.