Da mesi il nostro giornale si occupa della “questione montana”, con approfondimenti, ricerche, riflessioni. Siamo, quindi, felici di vedere riproposto il tema nel dibattito che si sta sviluppando sulle pagine de “La Stampa” negli ultimi giorni: prima Fredo Valla, poi Michele Antonio Fino, Mauro Calderoni e altre figure carismatiche delle valli come Mariano Allocco e Roberto Colombero hanno dato il loro contributo. Visto che lo scriviamo da tempo, non possiamo che concordare con la riflessione di Fredo Valla, che ha inizio al confronto dialettico: "Mettere la montagna al centro della politica non significa avere uno sguardo unidirezionale, ma immaginare obiettivi di sviluppo per questi territori, in una visione d’insieme e in relazione con lo sviluppo delle coste, delle pianure, delle metropoli".
Una visione d’insieme, dunque. Ma proprio di questa, purtroppo, sembrano sprovvisti molti amministratori delle valli, affannati nella perenne rincorsa di bandi, fondi, progetti spesso slegati fra loro, pensati e scritti da mercenari della progettazione. D’altra parte è pur vero, come scrive ancora Fredo Valla, che "se a parlare di montagna sono altri, è colpa anche dei montanari che non sanno essere protagonisti, raccontare di se stessi, lottare per i propri diritti. Spesso, quella di montagna, è una società stanca, talvolta senza volontà, capace soltanto di rivendicare e non di proporre".
Gli fa eco Roberto Colombero: "Quando Fredo ricorda che bisogna raccontarsi credo intenda proprio questo: raccontarsi per quello che si è oggi proiettati nel futuro, non con quel retaggio antropologico-culturale da sopravvissuti al “Mondo dei Vinti”;e quando dice che bisogna essere più capaci a lottare per i propri diritti, io condivido intendendo “lottare” come “non accontentarsi”, ma ambire a qualcosa di innovativo. Colombero ripropone con forza, nel suo contributo, il tema dei servizi di base in montagna (scuole, centri di aggregazione, presidi sanitari) , senza i quali è impossibile proporre ai giovani di vivere nelle valli".
Mariano Allocco nel suo intervento auspica una nuova alleanza tra montagna e pianura, fondata su obiettivi condivisi. Mauro Calderoni scrive che è assurdo pensare alle valli come a riserve indiane: anche lui ricorda che montagna e pianura fanno parte della stessa "piattaforma dinamica".
Michele Fino aggiunge una considerazione: la “questione montana” e il tema delle aree interne non riguarda solo le valli, ma anche i centri di fondovalle, che da anni vivono in una condizione paradossale: snobbati dai valligiani, che li guardano con sospetto, e snobbati anche dai centri di potere torinesi: "Troppo pochi voti per rimpegnarsi: al massimo vale la pena beneficare qualche amico o alimentare qualche mercenario culturale che si inventi inesistenti, finto-tolkeniani rassemblement".
Al controverso rapporto tra città e montagna è dedicato“Metromontagna”, un interessante volume curato da Filippo Barbera e Antonio De Rossi, edito da Donzelli nel 2021. “Metromontagna” è un neologismo che contiene in sé il superamento del dualismo città e montagna e la proposta di un cambiamento radicale di prospettiva per “riabitare l’Italia”. "La valorizzazione del policentrismo - sostengono i curatori - richiede politiche di connessione fra territori capaci di generare nuovi mercati, di costruire reti e infrastrutture, di contrastarte il depopolamento e gli effetti del cambiamento climatico".
Michele Fino incalza sulla necessità di andare oltre gli steccati che ancora oggi qualcuno propone tra “veri” montanari (nati e cresciuti in montagna) e neo-montanari (che hanno scelto di vivere in montagna): "La montagna rinasce quando si instaurano nuove relazioni: se a farle nascere sono gli aborigeni, ben venga; se sono i nuovi abitanti (cosa statisticamente più facile, inutile negarlo), beh, è semplicemente la natura che riempie i vuoti".
Questo tema è ripreso anche da Roberto Colombero, che riassume con efficacia i termini della questione montana: "La questione montana è “strutturale”: non può ridursi ad antitesi monte/piano, agli steccati tra chi è “indigeno” o “forestiero”. Non siamo isole e non siamo riserve. Esistiamo ed esisteremo se siamo in relazione, se accettiamo le sfide culturali, se non ci ripariamo nel mito degli eroi . Come tutte le questioni strutturali bisogna ricercare le cause soprattutto a livello endogeno. Poi viene la politica, poi vengono le strategie, poi vengono i progetti e poi vengono le risorse".
Quasi una conclusione, questa di Colombero, ma non è così. Il dibattito prosegue. Ieri su “La Stampa” e prima sul suo blog, Roberto Ribero (collaboratore di Cuneodice.it) ha messo l’accento sulla nota dolente che "riguarda la capacità di opporsi alle speculazioni economiche da parte di soggetti che vedendosi chiusi gli spazi di azione urbani considerano le valli un nuovo terreno di affari". Un tema che anche noi abbiamo affrontato più volte e che svela più di altri la fragilità del sistema, con molti amministratori locali che non hanno gli strumenti per individuare e opporsi alle speculazioni. Non è più accettabile l’idea del progettista inteso come “salvatore”, come quello “che sa”, cui delegare completamente la progettazione di interventi spesso molto rilevanti per il loro impatto sulla comunità. "È un approccio che ha riguardato diversi settori – precisa Ribero - dall’edilizia (si veda l’impatto più o meno nullo sulle comunità abitanti dei progetti psr comunemente definiti progetto borgate, in gran parte diventati villaggi avulsi da contesto e animati pochi mesi l’anno), al mondo culturale (musei superfinanziati e sempre chiusi, installazioni artistiche imposte alle comunità locali e per nulla integrate con le comunità stesse ecc), alla politica sulla green economy, all’appropriazione da parte di soggetti economici forti ed esterni al territorio di quelle risorse enogastronomiche che da sempre costituiscono il cuore pulsante dell’economia comunitaria". Ribero suggerisce anche tre direzioni da seguire, tre “pilastri” su cui far poggiare l’opposizione a questo approccio deviante alla progettazione nelle valli: far acquisire alle comunità una visione e una proiezione nel futuro, "l’acquisizione di competenze funzionali al proprio percorso storico improntato al futuro e coraggio nel dire no a bandi e soldi facili”. Una “ricetta” in apparenza semplice, ma sappiamo tutti quanto sia difficile realizzarla, calarla nella realtà concreta delle nostre comunità. Quanto sia difficile, soprattutto, trovare “cuochi” all’altezza della sfida.