Come un romanzo giallo. Con tanto di lettera misteriosa, che prima non c’era e ora compare, giusto in tempo per il Consiglio comunale straordinario sul caso Tettoia Vinaj. La missiva è quella che l’allora dirigente del settore Affari legali del Comune di Cuneo,
Giorgio Rinaldi, indirizzò allo studio legale Barosio in risposta a una precisa richiesta degli avvocati, formulata il 23 dicembre 2020: cosa fare della “patata bollente” di piazza ex Foro Boario, con un gestore - la Tettoia Vinaj srl di
Dario Dalmasso - che dal 2015 non aveva versato un euro all’amministrazione. Giovedì scorso il presidente del Consiglio comunale
Marco Vernetti aveva risposto al gruppo Indipendenti che la replica di Rinaldi, per quanto se ne sapeva,
non esisteva.
Invece c’è ed è interessante il suo contenuto: il funzionario scrive allo studio che la giunta ha espresso l’“unanime indirizzo” di avviare l’azione legale, al fine di “far dichiarare la risoluzione del contratto e per ottenere la restituzione dell’immobile di proprietà comunale”. Di canoni e oneri non pagati, quindi, non si parla. Eppure sappiamo che i legali, in giudizio, avrebbero richiesto sia la risoluzione contrattuale che il pagamento degli arretrati. E lo sappiamo perché l’ormai nota sentenza del giudice - pur riconoscendo le ragioni del Comune - ha censurato proprio quel punto: “Non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione”. Con tanti saluti, almeno per ora, alla speranza di rivedere i 938mila euro dovuti. Nella delibera 21 del 28 gennaio 2021, portata in giunta dall’allora assessore Vernetti, si chiedeva tuttavia di agire “per ottenere la restituzione dell’immobile, oltre al recupero del credito”. Chi ha sbagliato a muoversi, anteponendo lo scioglimento del contratto al pagamento dei debiti anziché il contrario? Il Comune o lo studio legale? La sentenza “non cancella il debito”, assicura la sindaca Patrizia Manassero: il geometra Dalmasso “i denari ce li deve e continueremo a chiederli”.
A parte questo intrico, sempre meno decifrabile, in municipio si è parlato per oltre due ore dei vari aspetti di una vicenda che crea nuove tensioni ad ogni aggiornamento. Ultima, in ordine di tempo, la delibera “posticipata” per chiedere ai legali di proporre appello contro la sentenza. È stata questa la pietra dello scandalo che
ha indotto le opposizioni a convocare l’assise straordinaria: la giunta, si è obiettato, aveva deciso fin dal 22 febbraio di impugnare il verdetto. Eppure nel Consiglio comunale del 26 e 27 febbraio non se n’è fatta parola, se non per dire - per voce dell’assessore ai Contratti
Valter Fantino - che si stava
“ultimando il percorso dei pareri tecnici, per ricorrere in appello per la riforma del dispositivo della sentenza”. La sindaca lo ha ribadito ieri sera, negando di aver mai mentito ai consiglieri sul punto:
“Sono intervenuta per dirvi che è intenzione della giunta andare in appello. Ma avevamo necessità di un parere scritto, perché c’era il dubbio che l’appello precludesse la possibilità di ricorrere ulteriormente per il rimborso del danno. Questo ci avrebbe esposti a un rischio estremo: non mi sono sentita di firmare la delibera finché non ho avuto il parere dell’avvocato in mano, questo parere è arrivato il lunedì sera ed è stato affidato agli uffici. Il mercoledì, consultati gli uffici, ho firmato la delibera”.
Le opposizioni: “L’appello? Una scusa per guadagnare tempo fino alle elezioni”
Nessun “giallo”, dunque, almeno su questo. “Se vi siete sentiti offesi mi dispiace” aggiunge Manassero, che fa sapere: “Su questa strada continuiamo ad andare avanti con trasparenza”. La prima cittadina si ribella invece a chi l’accusa di essere “andata sotto braccio” per anni con il soggetto di cui “una sentenza del tribunale ha riconosciuto la colpa grave”: sempre Dalmasso, per la cronaca. L’accusa era arrivata da Beppe Lauria (Indipendenza!), che nello stesso intervento si è rivolto ai colleghi consiglieri di maggioranza: “Voi non sapete nulla e non vi interessa sapere nulla, siete contenti di cinguettare nel ruolo che rivestite ma non contate nulla: avete bisogno di noi per sapere le cose e dovreste ribellarvi per primi”.
Parole aspre come lo erano state, in precedenza, quelle di Ugo Sturlese di Cuneo per i Beni Comuni: “Penso non abbiate neanche la consapevolezza della gravità del vostro comportamento e degli atti che sottendono ad esso: tutte le vicende che riguardano Tettoia Vinaj e caserma Cantore, legate dalla presenza di una stessa controparte, cioè Dario Dalmasso, sono collegate”. Mentre la Tettoia Vinaj srl non versava i canoni, ha spiegato l’ex primario, la collegata Dama sas “incassava, dietro pagamento al Comune di circa 12mila euro all’anno, affitti per cifre di consistenza quasi pari a quelle non pagate dall’altra parte”. “Perché non si è mai pensato al sequestro cautelativo dei pagamenti che il Baladin versa al gestore della Tettoia Vinaj?” la domanda, tuttora senza risposta, ribadita da Claudio Bongiovanni (Cuneo Mia). Che si aggiunge ad altri quesiti: sul perché non fosse stata richiesta la fideiussione al concessionario, o perché la compensazione degli oneri di monetizzazione dei parcheggi si sia fermata alla costruzione di un marciapiede perimetrale da 19mila euro, a fronte dei 291mila dovuti. E ancora, a proposito della causa: “Perché non avete ascoltato l’avvocato? Non possiamo credere che non vi abbia messo al corrente che un’azione simile avrebbe portato alla risoluzione del contratto e alla restituzione dell’immobile, ma non al recupero del credito”.
Altro argomento di polemica, i tempi per l’azione giudiziaria. Avviata solo a gennaio 2021, dopo vari tentativi stragiudiziali di comporre la lite: “Nel plico che ho davanti - ha osservato il capogruppo di Indipendenti Giancarlo Boselli - c’è la descrizione di uno dei tentativi stragiudiziali: a fronte di 6 o 700mila euro dovuti la controparte proponeva una cifra di sessantamila euro. Qualche dubbio c’era, ma si è atteso ancora per tre anni”. Dubbi analoghi, ora, toccano la decisione di proporre appello: “È evidente che l’appello non ha alcun senso, perché non regge alla luce del quadro che si è creato. Chiaro che lo vogliate fare per dimostrare alla città che farete tutto il possibile per non perdere i soldi e per guadagnare tempo, perché si potrà arrivare alla prossima campagna elettorale con una giustificazione”.
Dai banchi delle opposizioni hanno poi preso la parola anche Paolo Armellini (Indipendenti), Noemi Mallone e Massimo Garnero (Fratelli d’Italia), Franco Civallero (Forza Italia), Nello Fierro (Cuneo per i Beni Comuni) e Mavy Civallero (SiAmo Cuneo).
La maggioranza: “La sentenza ci dà ragione. E la piazza oggi è riqualificata”
Da parte del centro-centrosinistra al governo della città c’è soprattutto un punto che viene ribadito con forza: la sentenza dà ragione al Comune e questo è ciò che più conta. Lo dice Maria Laura Risso a nome del gruppo Centro per Cuneo, giudicando “straniante ed anche facilmente fuorviante trattare in un contesto politico un processo ancora in corso”. I vari passaggi, sostiene la consigliera centrista, sono stati tutti corretti. Compresa la scelta di non portare subito la questione in tribunale: “Se questi tentativi non fossero stati fatti, ora gli stessi consiglieri che polemizzano con altri aspetti della vicenda griderebbero allo scandalo per una causa iniziata senza tentare azioni meno cruente”. Il “punto politico principale” resta “la riqualificazione, piena e riuscita, dell’area di piazza Foro Boario, con la creazione di uno spazio vivace, in breve divenuto centro palpitante di attività ed eventi”.
“Siamo i primi a volere chiarezza, soprattutto noi consiglieri ‘nuovi’ che abbiamo ereditato la faccenda Tettoia Vinaj” dice Stefania D’Ulisse, capogruppo di Cuneo Solidale Democratica, per la quale “la sentenza ha sgomberato il campo da ogni dubbio e sospetto sull’operato dell’amministrazione”. In merito all’appello, la consigliera ricorda che a suggerirlo è stato in primo luogo il legale, convinto che non deporrebbe a favore del Comune lasciare che la controparte si muova per prima in tal senso. “Non vi sento mai dire con fervore che la sentenza riconosce la colpa, perché qualcuno non ha pagato” è il colpo di scudiscio che arriva da Claudia Carli, capogruppo del Partito Democratico, ai colleghi di minoranza. Ai quali l’esponente dem dispensa anche un monito: “La macchina del fango a volte è pericolosa, rischia prima o poi di arrivarvi addosso qualche schizzo”.