CUNEO - Voci sul carcere a Cuneo: “Il 2024 potrebbe essere l’anno record dei suicidi”

Avvocati, giudici e volontari nella maratona oratoria per denunciare l’inferno tra le sbarre: “Per le prigioni spendiamo 3 miliardi all’anno, ma in troppi ci ritornano”

Andrea Cascioli 09/07/2024 11:40

È difficile parlare di carcere senza finire, soprattutto oggi, a chiedersi perché lo Stato dovrebbe investire risorse per chi ha voltato le spalle alla società, sacrificando magari gli ospedali, le scuole, i servizi: “In fondo se lo sono meritato” si sente dire in giro, si legge nei commenti su Facebook. Ma se la pena sovente è meritata (e non sempre: ci sono le carcerazioni ingiuste, ci sono i tantissimi detenuti in attesa di giudizio), quello che nemmeno i condannati si “meritano” è ciò che il carcere porta con sé.
 
 
Morire dietro alle sbarre, anche a diciannove anni
 
Il sovraffollamento di celle dove si vive in otto quando i posti sono quattro, la difficoltà di ottenere una visita medica anche per urgenze, come un mal di denti, i ritardi nell’ottenere risposte dalla giustizia, la disperazione che porta perfino al suicidio. Succede sempre più spesso: da gennaio a oggi sono morti cinquantadue detenuti, più un caso in un Cpr per immigrati clandestini da rimpatriare. “Abbiamo raccolto anche i sei suicidi tra gli agenti di polizia penitenziaria” spiega Bruno Mellano, garante regionale per i detenuti: “È importante ragionare su questi numeri perché segnalano un malessere della comunità carceraria in generale”. Le statistiche sono già impressionanti: significa che, su 61.500 reclusi in Italia, uno ogni milleduecento circa ha visto nell’annientamento di sé l’unica salvezza.
 
Si rischia di superare quell’annus horribilis che per il carcere fu il 2022, con 85 suicidi: perché nei mesi caldi c’è da sempre un’impennata. Si muore soprattutto nelle prime settimane in prigione, schiacciati dal peso della condanna, ma paradossalmente anche negli ultimi mesi di detenzione, quando si dovrebbe vedere la luce in fondo al tunnel: “La mancanza di casa, lavoro e rete sociale, magari la perdita di relazioni familiari e amicali, tornano in questa fase” dice Mellano. È il caso di Alì, un diciannovenne che ha finito la sua vita nel carcere di Novara, dopo essere stato ospite di varie strutture piemontesi, anche minorili e psichiatriche: era a due mesi dalla fine della pena. L’89% dei suicidi già registrati, aggiunge il garante, sono avvenuti in sezioni chiuse. C’è un tema, enorme, legato alla malattia mentale e alle dipendenze: “Almeno un detenuto su quattro presenta problemi di abuso di sostanze: in mancanza di sostanze, questi soggetti tendono a richiedere alti dosaggi di farmaci” ricorda la dottoressa Marta Pellegrino, psichiatra dell’ospedale di Cuneo. In cella, l’uso di psicofarmaci è di cinque volte superiore rispetto alla popolazione generale.
 
 
Sette ex detenuti su dieci ritornano in carcere
 
Per denunciare tutto questo la sezione cuneese dell’Unione Italiana Camere Penali, presieduta da Dora Bissoni, insieme ai garanti e alle associazioni Ariaperta e Libera, ha organizzato lunedì pomeriggio una maratona oratoria, davanti alla libreria Stella Maris di Cuneo. Un’iniziativa analoga a quelle che si stanno portando avanti a livello nazionale, per chiedere che il carcere sia vissuto con dignità: “Non parlarmi degli archi, parlami delle galere” si racconta abbia risposto Voltaire a un amico che lo accompagnava tra le bellezze di una città. “A testimoniare che la civiltà di un Paese si dimostra anzitutto da come sono tenute le carceri e da come vive chi è all’interno” dice Davide Mosso, avvocato e membro dell’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere Penali: “Si sente dire che in un Paese dove non funzionano più gli ospedali, le case di riposo e le scuole non ha senso preoccuparsi di chi ha rotto il patto sociale: è un fatto fisiologico. Ma partiamo da un dato economico. Ogni anno spendiamo una somma intorno ai 3 miliardi di euro per le carceri: il costo pro capite è calcolato intorno ai 150 euro al giorno, ma il costo materiale per il detenuto è di 5 o 6 euro”.
 
Sono, il più delle volte, soldi buttati: perché circa il 70% di chi è stato in carcere ci ritornerà, non avendo alternative fuori da lì. “Se abbassassimo del 10% il termine della recidiva, - ragiona Mosso - risparmieremmo circa 300 milioni da spendere, per esempio, per le scuole”. “Se non si avverte umana pietà per situazioni terribili, almeno pensiamo ai nostri interessi come società” suggerisce anche Vittorio Sommacal, avvocato penalista cuneese, parlando di uno dei problemi più sentiti: “Chi è stato in carcere può raccontare le peripezie per ottenere un antibiotico o una visita per il mal di denti. Quando i miei clienti stanno male, se ne hanno la possibilità, consiglio di farsi visitare dal proprio medico, ma anche in quel caso ci vogliono giorni”.
 
 
Cuneo ha solo due giudici per 1.300 detenuti
 
“Che Stato è quello che, nel far scontare la condanna a chi ha violato il patto sociale, lo viola a sua volta?” domanda Alessandro Ferrero, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Cuneo. E le violazioni sono tante, a cominciare da quella più evidente, scritta nei numeri: a fronte di 61.500 detenuti la capienza regolamentare degli istituti di pena è di 51mila posti, ma quella “reale” - tolti i luoghi inagibili - scende addirittura a 47mila. “Il film di Sordi ‘Detenuto in attesa di giudizio’, girato negli anni Settanta, mostra una situazione anche architettonica delle carceri che non è molto diversa da oggi” assicura Ferrero, ricordando che “a tutti può capitare di finire in carcere in modo ingiusto, non è vero che riguarda solo chi ha commesso un reato e si meriterebbe di veder ‘buttare la chiave’: può succedere anche a noi”. Ma la soluzione, aggiunge, non sono indulti e amnistie: “Tutte cose che non risolvono il problema, perché se chi sta in carcere non è aiutato ad essere rieducato, esce dal carcere e ci torna subito dopo”.
 
Dopo la condanna della Corte europea per i diritti dell’uomo, nel 2013, l’Italia è, per così dire, corsa ai ripari. A un detenuto che abbia patito “condizioni inumane e degradanti” il magistrato può scontare un giorno di pena per ogni dieci trascorsi, oppure concedere, se già scarcerato, otto euro al giorno. “Al momento ci sono a Cuneo circa 400 procedimenti pendenti per questi rimedi risarcitori, di cui almeno 300 riguardano soggetti tuttora detenuti” fa sapere Sandro Cavallo, giudice del tribunale di Cuneo distaccato all’ufficio di sorveglianza. Qui la situazione è prossima al collasso: i magistrati in organico dovrebbero essere tre, al momento due sono in maternità. La cancelleria ha metà dei posti scoperti e per mesi un solo magistrato ha retto l’intero ufficio, che ha giurisdizione su un territorio con tre carceri (a Cuneo, Saluzzo e Fossano) e 1.300 tra detenuti e condannati sottoposti a misure restrittive. “È umanamente impossibile far fronte ai sempre maggiori adempimenti che il legislatore pone” ammette Cavallo.
 
Basti pensare, appunto, a come funzionano le istruttorie per ottenere i risarcimenti: “Parliamo di soggetti che magari sono stati oltre dieci anni in carcere e in diverse strutture e padiglioni. Per ognuno bisogna richiedere informazioni sui metri quadrati, la presenza di letti se rimuovibili o meno, i servizi, le ore d’aria supplementari, l’illuminazione, il riscaldamento, le docce: un’istruttoria che va fatta per tutti gli istituti di pena e che va azionata dalla cancelleria. Gli istituti di pena rispondono dopo molto tempo, spesso con modelli prestampati da cui si capisce poco”. Ogni provvedimento, stima il giudice, porta via almeno mezza giornata: “Quindi è impossibile che uno o due magistrati possano fare questo lavoro tenuto conto degli altri compiti anche molto urgenti, come le istanze di scarcerazione, i permessi, i riesami, i reclami contro le sanzioni disciplinari, le licenze trattamentali”. Anche sul fronte della giustizia, insomma, il carcere resta la pattumiera della società. Ma non è inevitabile, e non è così dappertutto: “Di recente ho visitato due strutture in Spagna e constatato che lì sono molto più avanti. Tanto è vero che il tasso di recidiva in Catalogna è solo del 30%, contro il 70% circa italiano”.

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