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Nel report dell'Istituto Superiore di Sanità si legge che ‘Nel Paese continuano ad essere rafforzate a livello regionale politiche di testing e screening in modo da identificare il maggior numero di casi’. Le nostre analisi dimostrano tuttavia che, nelle ultime due settimane, la percentuale dei tamponi diagnostici non solo non è stata potenziata, ma si è ridotta mediamente del 6%, seppur in misura variabile tra le regioni”. E’ quanto scrive
nel suo ultimo report, diffuso ieri, giovedì 4 giugno, la
Fondazione Gimbe, organizzazione che si occupa di ricerca e informazione in ambito sanitario.
Il sistema delle cosiddette “tre T”, testing-tracing-treating (testare, tracciare, testare) è unanimemente considerato come il metodo più efficace per controllare e prevenire il diffondersi di un’epidemia, ed è ritenuto fondamentale, in questo specifico caso, per arginare i nuovi focolai di Covid-19 e scongiurare una temuta “seconda ondata”. Secondo i dati raccolti dalla Fondazione Gimbe, però, molte regioni italiane, in questo lento processo di ritorno alla normalità, stanno procedendo in direzione opposta, riducendo il numero di test effettuati invece di aumentarli.
Non fa eccezione il Piemonte. Più volte nelle scorse settimane il presidente
Alberto Cirio e i suoi assessori avevano annunciato il potenziamento della capacità di processare tamponi da parte dei laboratori piemontesi.
In una videoconferenza lo scorso 12 maggio si era parlato di una potenzialità di 9 mila test al giorno, con l’obiettivo di salire a 20 mila entro fine giugno. I numeri diffusi giornalmente dalla stessa Regione, però, parlano di una realtà diametralmente opposta. Nelle prime tre settimane di maggio si era infatti registrata una media stabilmente superiore ai 5 mila tamponi processati ogni giorno (5.451 test quotidiani dal 4 al 10 maggio, 5.571 dall’11 al 17, 5.112 dal 18 al 24), poi il dato è andato in costante calo. Nella settimana dal 25 al 31 maggio la Regione ha processato in media 4.853 tamponi ogni giorno, mentre nei primi 4 giorni di giugno, complice anche il ponte del 2 giugno che ha ridotto l’operatività dei laboratori (come accade però in tutti i fine settimana), il dato è sceso a 3.027 test giornalieri. Lo scorso 14 maggio vennero esaminati 7.894 test, mercoledì 3 giugno solo 2.109, dato più basso dal 5 aprile.
Numeri che come detto stridono sia con le dichiarazioni dei vertici regionali che con la politica delle “tre T” che la comunità scientifica e quella medica consigliano da settimane di perseguire. Si potrebbe obiettare che con la netta frenata della pandemia vista nelle ultime settimane ci sono meno malati e quindi meno pazienti da “tamponare”, ma proprio la minor esigenza di sottoporre al test i soggetti sintomatici dovrebbe permettere di procedere all’individuazione di quelli senza sintomi, inconsapevoli vettori del virus. In più è iniziata la campagna di screening tramite test sierologici con adesione volontaria, e proprio l’incertezza nei tempi di esecuzione del tampone, obbligatorio in caso di esame sierologico positivo, sta dissuadendo molti dal partecipare.
E ancora, è imminente l’entrata in funzione anche in Piemonte
dell’app “Immuni”, sistema di tracciamento dei contatti da installare sugli smartphone sviluppato dal Ministero della Salute: un sistema che però, se non affiancato da un efficiente esecuzione dei tamponi, risulterebbe “zoppo”, una “scatola vuota”, come sostenuto dalla stessa Fondazione Gimbe. L’ex Ministro della Salute
Ferruccio Fazio, a capo della task force che assiste l’assessorato regionale alla Sanità, a questo proposito
ha dichiarato al Corriere della Sera che la Regione Piemonte “non incentiverà l’uso dell’app”, preferendo affidarsi al proprio sistema tradizionale di tracciamento dei contatti, il quale però, a propria volta, non può prescindere da un efficace sistema di esecuzione dei tamponi.
A prescindere da quest'ultima scelta, insomma, mentre dall’alto arrivano appelli, rivolti alla popolazione, a “non abbassare la guardia” malgrado l’allentamento delle restrizioni, sembra invece che siano le stesse regioni ad aver abbassato negli ultimi giorni il livello di attenzione: “Ribadiamo – spiega il presidente della Fondazione Nino Cartabellotta – la necessità di non abbassare la guardia, perché il paese non può permettersi nuovi lockdown: il rischio di una seconda ondata dipende, oltre che da imprevedibili fattori legati al virus, dalle strategie di tracciamento e isolamento dei casi attuate dalle regioni e dai comportamenti individuali. Se tuttavia l’improrogabile scelta del Governo di riaprire per rilanciare l’economia si è basata solo sull’andamento dei ricoveri e delle terapie intensive, è giusto dichiararlo apertamente ai cittadini con un gesto di grande onestà e responsabilità politica”.