Riceviamo e pubblichiamo l’intervento di Paolo Radosta (Italexit) sull’annunciata protesta dei braccianti a Saluzzo:
Tornano a protestare giovedì 4 agosto i braccianti saluzzesi, chiamati a raccolta dal gruppo “Enough Is Enough”. Ed è proprio così: “quando è troppo è troppo”.
Lo diciamo anche noi. Non ai lavoratori stagionali (che sono vittime a loro volta), quanto ai loro mandanti. Il grande Totò li avrebbe definiti i “soliti ignoti”: centri sociali, cooperative rosse, gruppi d’interesse e bassa manovalanza estremista della sinistra chic. Ancora una volta, dietro le proteste ci sono loro; che fomentano odio ed incendiano il rancore, più per loro interesse che per reale preoccupazione della condizione umana.
Anzitutto, bolliamo come oggettivamente false le accuse agli imprenditori agricoli locali. Basti guardare i risultati dei recenti controlli effettuati da Ispettorato del Lavoro ed enti correlati, che parlano di una situazione normata e regolare, nel rispetto delle leggi. Quello del “caporalato saluzzese” è un falso mito, creato ancora una volta ad uso e beneficio di taluni. Siamo fiduciosi che la giustizia faccia il suo corso e faccia crollare questo castelletto di carte nel quale soggiorna la convenienza di chi i braccianti li sfrutta davvero per proprio conto personale.
In secondo luogo, chiunque conosce il Saluzzese ed il suo settore agricolo sa che la maggior parte dei braccianti non solo sono ospitati nelle cascine di proprietà, ma questi sono anche forniti a spese dell’imprenditore con acqua, luce e gas. Chi vive per strada, e sono in molti, lo fa perché sprovvisto di documenti e non in regola. Il tentativo è sotto gli occhi di tutti: far crescere l’onda del contrasto sociale, dividere ancora una volta per poter additare al mostro del razzismo. Proprio, guarda caso, nel momento nel quale si ventila l’ipotesi che il primo cittadino di Saluzzo si candidi al Senato con il PD.
Saluzzo ha ospitato ed offerto lavoro, ha mostrato generosità e disponibilità, ha vissuto momenti di dramma sociale e di totale incapacità di gestione del problema da parte di chi ha concorso a generarlo, ha pagato e paga a sue spese la scelte della sua amministrazione ed ora non merita di essere ancora una volta strumentalizzata alla mercé globalista, che sulla pelle di questi ragazzi in difficoltà banchetta da anni.
Si parla anche di regolarizzazione dei flussi. Concetto corretto, naturalmente. La regolazione dei flussi migratori è necessaria innanzitutto per tutelare la coesione sociale di un Paese. Se è vero che nei momenti di crescita un’immigrazione - ben modulata - costituisce una risorsa preziosa, non c’è dubbio che durante le contrazioni del ciclo economico questa possa innescare drammatiche conseguenze sociali. Si tenga anche presente che i flussi agricoli dovrebbero avere come protagonisti primi tutti quei lavoratori che hanno collaborato per decenni nelle nostre campagne, che conoscono il lavoro e che sono specializzati. In genere, di provenienza polacca, rumena e dell’Est. Non si può pensare di aprire flussi nei quali a questi soggetti vengano preferiti i migranti irregolari. Oltre ad essere instabile giuridicamente, è un concetto che svilisce la meritocrazia e l’interesse dell’imprenditoria.
Vale poi la pena soffermarsi su una riflessione: sebbene uno Stato d’arrivo che disponga della sovranità monetaria abbia tutti gli strumenti per garantire la piena occupazione e possa trarre il massimo profitto dal processo migratorio, gli Stati di partenza rimangono comunque piagati dal dramma dell’emigrazione di massa. Questi Paesi, perlopiù vittime del giogo neocoloniale, vengono in questo modo depauperati dell’unica ricchezza rimasta a loro disposizione: i giovani. Oggi la lotta per l’autodeterminazione dei popoli passa proprio attraverso il controllo dei confini, esercitato nei confronti di merci, persone e capitali. Gestirli accuratamente non significa solo salvaguardare le identità e le culture nazionali, ma vuol dire soprattutto difendere l’insindacabile diritto di tutti gli uomini di poter vivere nel proprio Paese.
Si rifletta su questo, anziché sullo sfruttamento dei drammi degli ultimi per tornaconto personale. Lo diciamo ancora una volta: quando è troppo è troppo.
Paolo Radosta
ItalExit con Paragone