C’è una “storia nella storia” all’interno della tragica vicenda di
Bartolomeo Vanzetti e
Nicola Sacco, gli anarchici italiani ingiustamente condannati per due omicidi che non avevano commesso e giustiziati nel 1927 a Boston. Riguarda il destino, tormentato anch’esso, dei loro resti: lo storico saviglianese
Luigi Botta, attivo da oltre cinquant’anni nel reperire documentazione sul caso, l’aveva ripercorso un mese fa in occasione della cerimonia di
donazione dei disegni del film “Sacco e Vanzetti” all’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo.
Ora è Giovanni Vanzetti, l’83enne nipote di “Bart”, a chiederne la restituzione a nome della famiglia. In una lettera indirizzata alla direzione della Boston Public Library e alle autorità italiane e statunitensi. “È opinione comune, consolidata da una tradizione popolare che non trova fondamento nei documenti, che i resti dei due italiani inceneriti presso il crematorium di Forest Hill a Boston il 29 agosto 1927 trovino riposo presso i cimiteri dei rispettivi paesi italiani, Villafalletto e Torremaggiore” scrive Vanzetti. In realtà le circostanze particolari dell’epoca avevano portato i responsabili dell’allora Comitato di difesa a “dimezzare” i contenuti e raddoppiare le urne, destinandone due all’Italia e conservandone altrettante negli Stati Uniti. Queste ultime avrebbero dovuto essere depositate all’interno di un auditorium - allora definito Freedom House - da intitolarsi a Sacco e Vanzetti. Lo scultore Gutzon Borglum realizzò una targa bronzea da destinare proprio al mausoleo pubblico, ma l’auditorium a lungo menzionato nei documenti, sui giornali e negli incontri commemorativi non venne mai realizzato.
“È stata mia zia Luigina - sorella di Bartolomeo - a portare materialmente in Italia, con un viaggio in nave, i barattoli metallici contenenti la metà delle ceneri di Nicola e di Bartolomeo, adoperandosi affinché gli stessi trovassero degna sepoltura nei rispettivi luoghi d’origine” ricorda ancora il nipote: “La donna, alla quale il padre Giovanni Battista aveva imposto di trasportare la salma del fratello per inumarla nella tomba di famiglia, sapendo di non potersi sottomettere al genitore per contingenze superiori alle sue forze, prima di partire aveva richiesto al Comitato statunitense di ufficializzare con atto notarile la presenza americana della metà delle ceneri del fratello, impegnando il Comitato stesso a fornire loro degna sepoltura nel più breve tempo possibile”.
A fronte di ciò (e in assenza della sepoltura avallata ufficialmente) Luigina si adoperò sino alla morte - “avvenuta nel 1950 in conseguenza alle pene patite per la fine del fratello e per le infamanti accuse ricevute”, sostiene Giovanni Vanzetti -, nella richiesta dei resti di Bartolomeo: lo fece inviando lettere agli amici americani, al Comitato, e sollecitando costantemente, con la massima riservatezza, il rispetto degli impegni presi nell’atto notarile verbalizzato il giorno stesso del rientro. Per tre volte l’urna fu prossima al ritorno in Italia, ma ogni volta, per questioni diverse, il suo trasporto fu impedito. Il contenitore in rame con la metà delle ceneri di Bartolomeo e la certificazione comprovante il suo contenuto inizialmente fu consegnato alla vedova di Nicola Sacco, presso la quale rimase per tre anni. Fu quindi trasferito presso la casa di Alfonsina Brini, che in modo molto prudente e rispettoso riuscì a custodirli per ben trentasei anni - subendo anche un danneggiamento per furto -, sino a quando, poco prima di morire, li consegnò ad Aldino Felicani, nella cui tipografia di Boston rimasero per altri dodici anni, sino alla definitiva destinazione avvenuta nel 1979 alla Boston Public Library, dove sono tuttora conservati.
Ora l’erede diretto chiede alle autorità depositarie dei resti di predisporre la “naturale destinazione” dell’urna nel luogo in cui avrebbero dovuto trovarsi, cioè presso il cimitero di Villafalletto: “Affinché possa essere depositata nel rispetto del destino umano, finalmente in pace con sé stessa e con il mondo, a fianco dell’altra urna contenente la metà delle ceneri, già presente nel luogo dei morti del paese, vicino ai propri familiari, sin dall’ottobre 1927”.