Ricevamo e pubblichiamo.
Gentile direttore,
Scrivo queste brevi note per discutere il comunicato di Coldiretti che replica all’articolo pubblicato il 24 giugno dal magazine online Kulturjam intitolato “Lo schiavismo a Saluzzo, versione piemontese dell’Alabama”, e allargare, se possibile, il dibattito.
Convengo sul punto che il paragone sia improponibile, tuttavia non credo sia questo il punto da discutere. Il titolo di Kulturjam e qualche frase sono ad effetto, ma i problemi sollevati dall’articolo non sono inventati per raggiungere chissà quali scopi. Elenco i problemi, ai quali collego domande e riflessioni:
Il lavoro in nero e quello grigio sono invenzioni di Mamadou, il delegato dei lavoratori in sciopero che ha parlato in una pubblica assemblea? O sono pratiche ricorrenti che sviliscono e penalizzano il lavoro dei braccianti (bianchi e neri)? Quanto sono diffuse tali pratiche? Sembra che raggiungano percentuali di tutto rilievo.
L’accoglienza e l’alloggiamento dei braccianti sono interventi organizzati in modo efficiente per garantire a tutti i lavoratori condizioni di vita dignitose? Coldiretti dice: le imprese forniscono alloggio a molti lavoratori “contrattualizzati” e sono coadiuvate dall’intervento pubblico e dell’associazionismo. E sia, anche se tale affermazione va presa con beneficio d’inventario. Ne sono però esclusi tutti gli irregolari, tutta la fascia del lavoro irregolare e non o parzialmente contrattualizzato. Esempi ne siano i dormitori improvvisati, che specialmente nella scorsa stagione (va bene, c’era la pandemia. E prima?), a Saluzzo come a Cuneo, hanno provocato interventi di ordine pubblico e sgombri indiscriminati.
Il problema, continua Coldiretti, sono i caporali. Giusto. I caporali sono un problema. Ma i caporali sono conseguenza di un modello di reclutamento della manodopera “fai da te” funzionale all’ingaggio di lavoro irregolare. Non ci sono connivenze tra aziende e caporali? Non è possibile (oltre che utile) smascherarle anziché minimizzare il problema?
Un’altra doglianza avanzata da Coldiretti è “quella che colpisce direttamente i frutticoltori, vale a dire lo sfruttamento vergognoso da parte di chi riconosce loro dei prezzi insufficienti persino a coprire i costi di produzione”. Condivido lo sdegno e sono pronto a manifestarlo. Però, anche su questo punto, dirimente per affrontare con efficacia i problemi di cui sopra, quali azioni sono state intraprese dalle organizzazioni datoriali per tagliare le unghie alla grande distribuzione? Prezzi più equi e remunerativi per i produttori agricoli sono premessa e condizione per salari e condizioni lavorative rispettose della dignità dei lavoratori e richiedono, per avere successo, un’alleanza tra produttori (imprenditori e lavoratori) sostenuta dall’opinione pubblica democratica e consapevole.
Questi i problemi. Per risolverli non basta l’indignazione di qualche dirigente di Coldiretti mirata a colpire gli sfoghi di un lavoratore giustamente esasperato o di un osservatore che ne raccoglie la protesta. Ci vuole di più. È necessario organizzare campagne d’informazione (starei per dire: di controinformazione, rispetto alla vulgata corrente), è necessario denunciare e smascherare le pratiche illecite sollecitando l’intervento delle autorità preposte, ricordando che neanche il profondo Nord è immune dai difetti che appesantiscono la condizione del Mezzogiorno d’Italia.
È possibile trovare sedi e momenti per discutere di questi temi e avviare buone pratiche? Nel suo piccolo, a Cuneo, è quanto sta cercando di fare, tra difficoltà e indifferenze, la rete di associazioni “Minerali clandestini” che a questi temi dedica buona parte del suo impegno.
Antonio Elia