Si è spento all’ospedale civico di Dogliani, all’età di 77 anni, il maestro della cucina di Langa Cesare Giaccone. “Cesare di Albaretto” è stato una delle figure più eclettiche della gastronomia piemontese, che alla passione per il buon cibo affiancava quella per l’arte: “Fra Renoir e Matisse rivieraschi” secondo la definizione che ne diede Nico Orengo.
Suo padre Filippo gestiva da prima della guerra l’osteria dei Cacciatori, affidando la cucina alla moglie Maria. Da Albaretto Cesare si era allontanato - senza mai andarsene davvero - per fare l’aiutante muratore, il lavapiatti e infine l’aiuto cuoco, imparando il mestiere dai grandi maestri. Nel 1969 era tornato per realizzare, avrebbe detto in seguito, “il sogno di una cucina che riprendesse e difendesse la tradizione della sua terra e di quei prodotti unici di cui aveva conservato il ricordo dall’infanzia”. Facendo sua una frase di Cesare Pavese: “Le Langhe non si perdono”.
A partire dagli anni Settanta parleranno dei “Cacciatori” firme prestigiose del giornalismo italiano come Gigi Veronelli e Giorgio Bocca, mentre la fama del ristorante valica i confini nazionali: nel 1994 l’Herald Tribune menziona Giaccone tra i dieci migliori cuochi del mondo. Le star affrontano i tornanti che separano Alba dalla piccola Albaretto per omaggiare la sua cucina: lo fa anche Robert De Niro. Nel 2008 l’ultima svolta della sua carriera, con il trasferimento a Fontanafredda. Dopo la pensione, Giaccone aveva affiancato il terzogenito Filippo negli stessi locali in cui aveva lavorato per anni, dove ora spicca l’insegna “Filippo Oste in Albaretto”.
“Cesare Giaccone - ricorda il presidente della Regione Alberto Cirio, suo conterraneo - per noi era quasi una figura mitologica, non un cuoco tradizionale - allora li chiamavamo ancora così, oggi diremmo chef -, ma un genio, un artista, un uomo che trasformava il tuo pranzo o la tua cena in una esperienza unica e per certi versi misteriosa ed appassionante. E questo Cesare lo faceva con il suo modo di essere, con il suo volto, le sue espressioni, i suoi racconti che trasformavano un piatto quasi in un romanzo. A lui dobbiamo molto, come piemontesi e come italiani. A lui che è stato il primo in Piemonte e uno dei primi in Italia a credere nell’eccellenza della nostra ristorazione tradizionale, nel rispetto dei prodotti agricoli, della natura, delle stagioni. Da Cesare mangiavi quello che diceva lui, perché solo lui sapeva dirti ciò che era il meglio in quel determinato giorno. E da Cesare prenotavano da un anno all’altro per trovare un posto, da tutte le parti prima d’Europa e poi del mondo”.