Se si tratti di usura o meno toccherà ai giudici di Cuneo stabilirlo, al termine di una vicenda che si protrae ormai dal 2014. In quell’anno i carabinieri di Ceva avevano raccolto la denuncia di un artigiano che affermava di aver dovuto restituire ben 108mila euro in pagamento di un debito di circa 35mila euro, contratto con un mediatore d’affari di Gorzegno.
Gli interessi, secondo l’accusa, aumentavano del 10% ogni dieci giorni a partire dalla data di restituzione pattuita. A garanzia del creditore una serie di assegni firmati in bianco, che lui conservava con la minaccia di incassarli e di far finire in protesto chi glieli aveva consegnati. Una questione di vita o di morte, dal punto di vista lavorativo, per ogni imprenditore. Nove sono le presunte vittime identificate tra le province di Cuneo, Savona e Torino. Il trait d’union fra tutti loro è S.C., classe 1959: nella sua abitazione, al termine delle indagini, erano stati effettuati sequestri preventivi di preziosi e contanti per oltre 50mila euro.
Insieme al presunto organizzatore della rete di prestiti a usura sono finiti a giudizio due serramentisti di Alba, C.D. (poi deceduto nel 2016) e suo figlio J.D. (classe 1984). Secondo la ricostruzione della Procura i due sarebbero stati succubi del coimputato, ma a loro volta si sarebbero prestati a procacciare “clienti” per lui. Analoghi addebiti erano stati mossi ad altre tre persone coinvolte nell’inchiesta, l’agricoltore albese W.T., la ballerina G.B. e l’artigiano edile di Cairo Montenotte M.P., tutti già giudicati con riti alternativi.
È stato lo stesso J.D., sentito in una delle ultime udienze, a chiarire quale fosse il suo rapporto con il mediatore, conosciuto nei primi anni Duemila. In un periodo in cui gli affari andavano male, S.C. si sarebbe offerto di cambiare alcuni assegni a suo padre: “Ci prestava soldi con interessi del 5-7%, con gli anni siamo arrivati al 10%. A volte avevamo la forza di pagare tutto l’assegno, altre volte andavamo in difficoltà e prendevamo un altro assegno per il mese successivo”. In tutto avrebbero ricevuto circa 20mila euro, prima di finire in protesto. “Quando non si hanno più altre strade bisogna fare così” ha risposto il 38enne al pubblico ministero, il quale gli domandava se non ritenesse eccessivi gli interessi. Al solo scopo di dilazionare i pagamenti, sostiene l’imputato, suo padre avrebbe accettato anche di acquistare auto e camion da S.C.: “In dieci anni avremo comprato veicoli per 50mila euro con questo metodo, ma per noi era anche vantaggioso perché in concessionaria non potevamo andare”.
Tra quanti hanno denunciato S.C. c’è un 47enne maghrebino residente a Torino, all’epoca titolare di una ditta di trasporti. Lui l’imputato l’aveva conosciuto tramite un commerciante di veicoli usati: “In sei o sette anni ho acquistato mezzi da lui e da altri concessionari per cui faceva da garante. Una ventina di auto in tutto, le pagavo a rate con assegni postdatati che a volte non riuscivo a coprire. Quando ciò accadeva andavo da chi avrebbe dovuto incassarli e pagavo per spostare la data”. Al pari degli altri testimoni sentiti, l’ex imprenditore afferma di non aver mai ricevuto personalmente da S.C. il denaro: “Quando ne avevo bisogno diceva che avrebbe ‘parlato con qualcuno’. Non ho mai saputo chi fosse questo ‘qualcuno’”. In totale, tra il 2008 e la fine di luglio del 2018 avrebbe restituito almeno 140mila euro: “L’interesse lo quantificava lui, su un assegno di quattromila euro per esempio potevano essere 400 o 500 euro. Ero obbligato ad accettare questa situazione, perché non avevo alternative”.
Il 23 febbraio verranno ascoltati in aula altri testi chiamati dalla Procura.