La Procura di Asti ha concluso nei giorni scorsi le indagini preliminari nei confronti degli indagati dell’operazione “Mare Magnum”, condotta dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Asti, che il 7 luglio scorso aveva già portato a tredici misure cautelari per i reati di tentato omicidio, rapina in abitazione, estorsione, armi e stupefacenti.
Grazie agli ulteriori approfondimenti e ai riscontri scientifici si è arrivati all’identificazione di altri due soggetti coinvolti in una clamorosa rapina in casa ai danni di un imprenditore di Castagnito. Si tratta di Patrick La Comare, già indagato per reati analoghi nell’operazione “Mare Magnum”, e Bruno Agostino, detenuto dal maggio 2018 e condannato in via definitiva per associazione mafiosa, nel processo scaturito dall’inchiesta “Barbarossa”. È emerso come proprio Agostino avesse agito in qualità di basista, indicando ai rapinatori l’obiettivo, dopo che in quell’abitazione aveva lavorato come falegname.
Patrick La Comare, invece, si era introdotto all’interno insieme a Daniel Lanza e ad altri complici rimasti ignoti. Una traccia genetica riconducibile a La Comare è stata ritrovata su una porzione di fune con rampino, utilizzata per scavalcare un muro di cinta e raggiungere l’abitazione della vittima. L’astigiano Lanza è stato condannato in abbreviato lo scorso 27 febbraio, alla pena di nove anni e quattro mesi, per i reati di rapina pluriaggravata in abitazione, sequestro di persona e lesioni personali. Per i due presunti complici la Procura di Asti ha chiesto il rinvio a giudizio lo scorso 21 febbraio.
Anche a carico di altri due indagati dell’operazione “Mare Magnum” è stata formulata la richiesta di rinvio a giudizio. Si tratta di Emanuele Lo Porto e Giastin Stentardo: il primo, latitante dal giugno 2023, era stato arrestato il 12 ottobre dello stesso anno a Rocca d’Arazzo, nell’Astigiano. Il secondo era evaso dal carcere di Alba il 7 luglio scorso, circa un’ora dopo la notifica del provvedimento restrittivo a suo carico. I carabinieri lo avrebbero riacciuffato il 13 settembre in un covo a Belvedere Langhe.
Si è scoperto che in quei due mesi Stentardo aveva potuto contare su un’estesa rete di complici e fiancheggiatori, composta da ben sette persone estranee al suo contesto familiare. I complici avevano agevolato la fuga e poi fornito al latitante case, veicoli e risorse. La “primula rossa” aveva un’abitazione in Liguria - dove aveva trascorso gran parte della latitanza, fra Loano e San Bartolomeo al Mare - e una nelle Langhe, numerose utenze telefoniche e veicoli intestati a prestanome, a sua disposizione sin dall’evasione. Nei confronti di tutti i fiancheggiatori, l’autorità giudiziaria ha contestato il reato di favoreggiamento personale.
Stentardo, insieme a Emanuele Lo Porto e a un altro complice, Luigi Massa, si era reso responsabile durante la latitanza anche di una rapina in villa, effettuata nella serata del 4 settembre a Moncalieri (Torino). I tre malviventi con volto coperto si erano introdotti all’interno di un’abitazione di pregio sorprendendo i proprietari, brutalmente aggrediti e immobilizzati al fine di impossessarsi di denaro e oggetti preziosi, ma non erano riusciti nell’intento a causa della pronta ed efficace reazione delle vittime. Anche questo grave episodio rientra tra le contestazioni formulate dalla Procura della Repubblica nella richiesta di rinvio a giudizio emessa lo scorso 22 febbraio.