Trecento metri di terreno sono costati finora due processi ai titolari dell’azienda agricola Pecchenino di Dogliani, chiamati questa volta a
rispondere di frode in commercio davanti al tribunale di Cuneo.
Orlando Pecchenino, ex presidente del consorzio di tutela del Barolo e del Barbaresco fino al 2018, era a giudizio insieme al fratello Attilio perché accusato di aver violato il disciplinare di produzione vinificando nella storica cantina di famiglia a Dogliani anziché in quella di Monforte d’Alba, come aveva invece dichiarato. Lo stabilimento doglianese sorge a trecento metri di distanza dall’area di produzione del Barolo. A norma di legge, quindi, lo stesso vino che entro quei confini può essere chiamato Barolo docg deve essere etichettato come Langhe Nebbiolo doc se ciò non avviene.
Il giudice Alice Di Maio ha ritenuto provata la violazione per quanto attiene alle annate comprese fra il 2007 e il 2012 e ha quindi condannato entrambi gli imputati a sei mesi di reclusione. Assoluzione perché il fatto non sussiste, invece, per quanto riguarda le annate 2005 e 2006. È stato disposto inoltre il dissequestro di tutte le bottiglie: quelle precedenti al 2007 potranno essere messe in commercio come Barolo, le altre dovranno essere rietichettate come Langhe Nebbiolo.
I Pecchenino erano già stati rinviati a giudizio ad Asti in seguito a un’inchiesta avviata nel 2016 dai Nas per tentata frode in commercio e falso. In quell’occasione il procedimento si era concluso con un patteggiamento davanti al gip, finalizzato ad ottenere un più rapido dissequestro delle annate. Per il secondo filone giudiziario a Cuneo gli imputati, assistiti dagli avvocati Fabrizio Mignano e Luisa Pesce, hanno scelto invece il processo con rito ordinario.
Al termine dell’istruttoria, il sostituto procuratore Attilio Offman aveva chiesto la condanna a venti giorni di reclusione, sostenendo che il vino non fosse
mai passato per la cantina di Monforte:
“È irrilevante il fatto che il vino abbia le stesse caratteristiche organolettiche del Nebbiolo Langhe prodotto fuori dall’area docg. Chi acquista Barolo ha diritto di sapere cosa beve” aveva concluso il pubblico ministero.
Malgrado la condanna, la difesa non vede l’esito processuale come una disfatta: “L’accusa è stata nettamente ridimensionata” osserva l’avvocato Mignano, sottolineando l’assoluzione con formula piena per le annate 2005 e 2006 e il dissequestro totale delle bottiglie. L’azienda potrà rivendere da subito il Barolo, mentre intende aspettare l’esito del secondo grado di giudizio prima di rimettere in commercio le bottiglie che allo stato attuale sono considerate Langhe Nebbiolo: “C’è tempo per affrontare l’appello”.