Sola in un casale abbandonato nella campagna, in balia di un uomo che l’afferra da dietro e incomincia a palpeggiarla. L’incubo di ogni ragazza che almeno una volta, per lavoro o per gioco, ha risposto a un annuncio per un set fotografico: “Mi sono spaventata e ho reagito con un tono molto aggressivo: lui si è arrabbiato. Allora ho pensato a quello che dico sempre alle altre: se vi trovate in situazione di pericolo, cercate di disinnescarla. Mi sono fatta riaccompagnare in stazione ed è stata l’ultima volta che l’ho visto”.
Lui,
Paolo Ferrante, fotografo e sedicente talent scout,
da ieri è in carcere per violenza sessuale. Lei,
Stefania Secci, ieri modella e influencer, oggi giornalista, è stata la prima a denunciare: il sasso da cui è partita la valanga.
“L’ho incontrato nel 2022 - racconta alla nostra redazione -
. Ero stata contattata per lavorare con contratti fotografici di moda. Sembrava un’agenzia seria, ben organizzata e curata”. La MIA Models Italian Academy di Corneliano d’Alba, in effetti, si presentava con tutte le carte in regola: profili ufficiali sui vari social, video e foto degli shooting, annunci di lavoro. Sulla rete si trovano anche le interviste al fondatore:
“Le agenzie non devono vendere sogni ma consulenza professionale” proclama in una di queste. Altrove si promette
“formazione personalizzata e a 360 gradi per le future modelle”.
L’esatto contrario di quello che succedeva lì dentro, assicura la Secci, tra le mura dell’agenzia che - in realtà - coincideva col domicilio privato di Ferrante: “L’approccio era ‘ti faccio firmare i contratti e non ti pago’, ho migliaia di euro mai saldati” dice. Il pigmalione roerino prometteva orizzonti luminosi: accordi con brand internazionali come Dolce e Gabbana, o addirittura con la Rai e il mondo del cinema. “Ho firmato i contratti di fronte alla segretaria, non sono una sprovveduta” spiega la ex modella, oggi 35enne, nota sui social con lo pseudonimo di Sunshine: “Ho sempre lavorato come modella prima di tutto questo”. Neanche le altre ragazze - in tutto sono cinque, quelle che hanno denunciato - erano sprovvedute: come lei, originaria della Sardegna, venivano da tutta Italia, con le loro referenze e tante speranze.
A qualcuna, però, è andata molto peggio. Stefania lo ha capito dopo aver avviato una sua indagine personale, rintracciando, una per una, le possibili vittime: “Ho aperto il vaso di Pandora. Scoprendo le storie di ragazze abusate, fino ad arrivare alla violenza sessuale vera e propria. A quelle che vedeva più inesperte proponeva la realizzazione di cortometraggi ‘sulla violenza sulle donne’: diceva di avere contratti con Rai, con Sky, con Mediaset. Lui faceva la parte dell’attore maschile e provava a stuprarle”. I famigerati corti, menzionati anche gli inquirenti, non erano la sola arma: “Quando non arrivava alla violenza vera e propria ti ricattava con le penali nei contratti, da 10 o 15mila euro. Spesso ha fatto foto in cui le ragazze non erano a loro agio e minacciava di diffonderle. Per questo, quando ho iniziato a scrivere alle altre, molte mi dicevano di non averlo denunciato perché temevano i ricatti”.
Il muro di silenzio e vergogna che ha circondato questa vicenda per lungo tempo è uno degli aspetti più difficili da comprendere. Il mondo delle fotomodelle, professioniste o semiprofessioniste, oggi è molto più connesso: anche attraverso i social ci si confronta, si fa fronte comune contro chi maneggia un obiettivo solo per nascondere altri fini. Eppure non è emerso nulla, fino a pochi mesi fa: “Appena scrivevo con una scusa qualsiasi, - ricorda la Secci - chiedendo un feedback sull’agenzia di Paolo Ferrante, tutte mi rispondevano ‘ci ho lavorato, stai attenta perché o non ti paga o allunga le mani’”. Poi, però, finiva tutto lì. La modella divenuta reporter ha anche cercato di parlare con le altre persone che ruotavano attorno all’“academy”: “Vedevo fotografi lavorare con lui, molti sono ragazzi talentuosi. Li avvertivo più che altro del fatto che rischiavano di non essere pagati”. Quando lei ha conosciuto Ferrante, in agenzia non c’era ancora Davide Ferrero, il 36enne di Bra finito ai domiciliari con le stesse accuse. È arrivato negli ultimi mesi, anche se la sua conoscenza con il fotografo è di lunga data.
Stefania, nel frattempo, aveva già fatto il primo passo, quello più importante, entrando nella caserma dei carabinieri di Alba. Tiene a ringraziare soprattutto loro, in particolare il maresciallo Claudio Grosso e il capitano Giuseppe Santoro, per averla accolta fin dal primo istante: “Faccio un appello a tutte le ragazze che non siamo riusciti a intercettare, perché non tutte hanno i social: contattateli”.
La notizia dell’arresto, arrivata alle sette e mezza di venerdì mattina, è stata accolta come una liberazione: “Ci sono ragazze che sono andate da lui già cinque o sei anni fa e hanno vissuto la stessa esperienza, giovani traumatizzate da una persona che ha giocato coi loro sogni e le loro ambizioni, e che poi hanno smesso di fare quello che facevano per colpa sua. Quando le ascoltavo piangevo con loro, ora tante altre mi stanno contattando su Instagram: le indagini sono solo all’inizio, ma quello che è successo è merito nostro. Abbiamo vinto tutte noi ragazze, violentate e abusate”.