CUNEO - Assolto l’urologo del Santa Croce denunciato da un paziente dopo l’operazione chirurgica

L’uomo sosteneva che nel corso dell’intervento gli fosse stata inserita una protesi a sua insaputa: in seguito alla rimozione di questa era poi rimasto impotente

Andrea Cascioli 19/02/2021 18:43

 
Ѐ stato assolto perché il fatto non sussiste l’urologo dell’ospedale Santa Croce di Cuneo accusato di lesioni personali da un paziente che aveva operato nell’ottobre del 2017.
 
L’uomo, oggi 54enne, era stato sottoposto a un’uretrostomia e a un contestuale inserimento di protesi peniena. L’operazione si era resa necessaria a giudizio del medico alla luce della patologia congenita di cui il paziente soffriva, l’ipospadia, che fin da bambino l’aveva portato a subire ripetuti interventi chirurgici. In anni più recenti il quadro si era poi complicato a causa delle frequenti infezioni. Secondo la denuncia, tuttavia, il dottore che l’aveva operato avrebbe omesso di spiegargli che la soluzione chirurgica contemplava anche l’inserimento di una protesi al pene. Solo al risveglio si sarebbe reso conto di ciò che era accaduto e i successivi tentativi di utilizzare la protesi si sarebbero rivelati vani per l’eccessivo dolore provato. In seguito il paziente si era risolto a domandare a un altro specialista la rimozione della protesi ma aveva perduto ogni funzionalità erettile.
 
“La soluzione chirurgica era l’unica che ritenevo possibile per la sua situazione già molto grave” ha spiegato il aula il dottore, sottoponendosi all’esame del pubblico ministero e delle parti. L’urologo ha sostenuto che le alternative alla protesi in un quadro clinico così complicato fossero troppo rischiose e che questa evidenza fosse già stata prospettata sia al paziente che a sua moglie nelle visite preoperatorie. A sostegno delle tesi difensive era stata portata nell’udienza precedente anche la testimonianza di un altro ex degente, all’epoca compagno di stanza della parte offesa, il quale aveva affermato: “Mi spiegò che gli era stata impiantata una sorta di protesi che gli avrebbe migliorato la vita”. Sia i consulenti di difesa che quelli di accusa e parte civile concordavano sul fatto che l’operazione fosse stata eseguita a regola d’arte. La questione verteva però sul consenso prestato dal paziente, che da parte sua sosteneva di non aver mai dato l’assenso all’impianto di una protesi: “Sul modulo di consenso che ho firmato si parlava solo di uretrostomia, non di protesi, altrimenti avrei chiesto spiegazioni”.
 
“Il consenso è presupposto del gesto medico sotto ogni profilo: il paziente va messo in condizione di capire e bisogna verificare che questa comprensione ci sia” ha sostenuto nella sua requisitoria il procuratore capo Onelio Dodero. Per il rappresentante dell’accusa, che aveva chiesto una condanna a tre mesi per l’imputato, “va superata la concezione paternalista del medico come detentore della potestà di curare, piuttosto che di una proposta di cura sulla quale sarà il paziente a decidere. Nessuno contesta all’urologo di aver sbagliato nell’operare, ma che la salute non sia stata tutelata pur a fronte di un intervento riuscito”. Alle conclusioni dell’accusa si è associata la difesa di parte civile, con gli avvocati Federica e Monica Beltramo, lamentando soprattutto il fatto che “il consenso all’intervento non era stato firmato in reparto ma quando il paziente era sdraiato sulla barella, tanto che si è limitato a siglare: cosa poteva capire in merito all’operazione che stava andando a subire, ammesso che qualcuno gli avesse spiegato diffusamente in cosa consisteva e quali potevano essere le conseguenze?”.
 
Un’obiezione, quest’ultima, rigettata con forza dall’avvocato Vittorio Sommacal, difensore del medico: “Il modulo di consenso informato è stato firmato un’ora prima che il paziente entrasse in sala operatoria e non gli era stato somministrato nulla che potesse incidere sulla sua lucidità in quel momento. Nemmeno ha senso pensare a una gigantesca congiura del Santa Croce contro questa persona, tanto da arrivare a manomettere la cartella clinica e i moduli del consenso: l’azienda ospedaliera è venuta a sapere della richiesta di danni solo dopo che la cartella clinica era già stata fornita in copia”. Si deve quindi ritenere, ha concluso il difensore, che l’uomo avesse piena consapevolezza della natura dell’intervento.
 
Dopo due ore di camera di consiglio il giudice Alice Di Maio ha accolto l’impianto argomentativo della difesa assolvendo l’urologo con formula piena.

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